ATHIEL "Maw Of The Curse" (Recensione)
(2025)
Dopo l’ep “Birth From Darkness”, del 2022, e il primo album vero e proprio pubblicato nel 2023, intitolato “Destroys the Laws of God”, il progetto Athiel, one man costituita da Dann, giunge al secondo full length e si accasa presso l’italiana Broken Bones. Non conoscendo il progetto, non posso fare paragoni coi lavori precedenti, cosa che, tra l’altro, ritengo anche abbastanza inutile, in quanto ogni disco, secondo me, ha una vita propria e va giudicato in maniera individuale.
Quindi, cosa propone questo sardo? È presto detto: un potente e ferale black/death fortemente influenzato dalla scena svedese inaugurata dai Dissection e dai Sacramentum (quelli di “Far Away From The Sun”), ma che non disdegna melodie più vicine ai Necrophobic o dei Naglfar dei tempi d’oro. Dann sa come costruire brani che coinvolgono l’ascoltatore, con riff taglienti e che si susseguono in maniera logica e coerente (cosa non sempre scontata). E anche quando si tratta di lasciarsi andare a qualche inserto acustico, lo riesce a fare in maniera convince, come in “In The Lawless Oblivion”, uno dei brani migliori del disco, secondo me, in cui tutte le influenze si fondono in maniera egregia, per un risultato finale che non potrà che fare la gioia di tutti gli amanti del genere, grazie, anche, ad una parte centrale in midtempo che vi farà tenere la testa ferma solo se siete paralizzati. Lo stesso dicasi per l’inizio della successiva “Reaven’s Oath”, dove aleggia preponderante lo spettro di “Where Dead Angels Lie”. La title track, invece, riporta alla mente i Dark Tranquillity degli anni ’90 fusi con i soliti Dissection: un brano che alterna parti più tirate a rallentamenti, con riff melodici al punto giusto, che si ricordano facilmente ma senza per questo essere scontati o banali, come ci ha insegnato il “buon” Jon Nödtveidt.
Il brano migliore del disco, però, credo sia “Serpentine Bloodline”, grazie alla lunga, lenta e sulfurea parte iniziale. Questo “Maw Of The Curse”, a mio gusto (e, si badi bene, è proprio un gusto mio, assolutamente soggettivo), pecca solo sotto l’aspetto degli assoli: troppi! Sicuramente Dann ha la tecnica per farli e ci sarà sicuramente a chi piaceranno. Io, purtroppo, non sono tra questi. Uno ogni tanto ci può stare ma in ogni brano non li digerisco molto. Ma, ripeto, qui si tratta di un mio gusto personale; gli amanti della tecnica, al contrario, andranno a nozze con queste cose, perché gli assoli sono ben fatti e denotano una certa dose di tecnica. Anche la resa sonora è buona, con tutti gli strumenti ben distinguibili nel mix, basso compreso (e questa non è una cosa scontata, nel black).
In definitiva, un disco che, se supportato a dovere, potrà regalare delle belle soddisfazioni al suo autore ed ennesima dimostrazione di come la scena italiana sia continua fucina di nuove proposte veramente interessanti e non sia solo trap e merda simile! Quello che mi sento di consigliare a Dann è di cercare di allontanarsi un po’ dalle influenze e cercare di mettere del suo, altrimenti, a lungo andare, questa sua dedizione ai Dissection potrebbe finire per ritorcerglisi contro.
Recensione a cura di Marco "Wolf" Lauro
Voto: 80/100
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