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NOTTURNO "Our" (Recensione)


Full-length, Hypnotic Dirge Records 
(2024) 

Un molle clarinetto disegna una melodia lugubre a tempo di adagio. Presto si aggiunge un piano malinconico sorretto da pad eterei, mentre una donna vestita di rosso e sormontata da un’aureola brandisce una spada guardando il cielo, come un angelo sterminatore. Dei timpani minacciosi avvisano della fine, segnata da una rasoiata di chitarra che annuncia il il futuro. È “Adagio”, appunto, brano introduttivo del nuovo lavoro del progetto “Notturno”, che in soli due anni ha già rilasciato tre full-length, indice di una prospera vena creativa. Artefice principale è il polistrumentista Vittøriø Sabelli (Dawn of a Dark Age, Incantvm) , che si occupa di chitarra, basso, tastiere e fiati, accompagnato da Diego “Aeternus” Tasciotti (Ade, Handful of Hate, Dawn Of A Dark Age) alle pelli e la straordinaria Kjiel (Eyelessight) alla voce. 

In questi due anni i Notturno si sono ritagliati il loro spazio nell’ambito di un genere che prende le mosse da un atmospheric/depressive metal, declinato in un modo del tutto peculiare con arrangiamenti crepuscolari in cui spesso e volentieri si innesta il clarinetto di Sabelli con effetto straniante. La loro proposta musicale ha mantenuto una certa continuità nel corso dei lavori, come testimoniato anche da alcuni dettagli di progettazione (ad esempio il secondo brano ogni nuovo album ha il titolo del disco precedente), che pur risultando riconoscibilissima non appare mai uguale a se stessa, introducendo sempre qualche nuovo elemento di sperimentazione. “Spegnete le luci”: così Vittøriø ci suggerisce di approcciare all’ascolto dell’album, che dopo la breve introduzione contemplativa prosegue con “Inside” (come si è detto, anche il titolo del precedente full-length), che mostra subito i colori tipici del gruppo con un delicato arpeggio di chitarra al quale si aggiungono, via via, la lenta base ritmica e il canto supplicante di Kjiel che ci ricorda il tempo di confrontarci con noi stessi. L’incidere è inizialmente cadenzato, con frequenti ricorsi a battute dispari che aumentano in senso di smarrimento e sottolineano il crescere della tensione fino all’esplosione delle chitarre: la voce è ora lacerante, e scava solchi profondi nell’anima. Un’interruzione a metà brano fa da anticlimax, ma Kjiel non lascia scampo e ci tiene per mano sino alla fine, quando i blast beat pareggiano il battito del nostro cuore stravolto dall’epifania delle nostre paure più recondite. 

“Anymore” prosegue il discorso del brano precedente con una struttura molto simile: un arpeggio iniziale che suscita un senso di preoccupazione su i piatti leggeri di Aeternus accompagnano i sussurri imploranti di Kjiel: “non ce la faccio più”. Il brano poi si sviluppa tra pause, riprese, cambi di tempo, ingressi centellinati di clarinetto e piano, mentre il cantato si fa sempre più ansioso ed agitato seguendo l’indurimento dell’arrangiamento. Un ritorno all’arpeggio iniziale prelude al finale feroce e quasi parossistico: il brano ha una struttura narrativa, che tiene incollati all’ascolto. Il successivo “Paranoia” rappresenta la vera sperimentazione dell’album, fuori da canoni atmosferici che sono un po’ il marchio di fabbrica della band. Le chitarre accompagnano da subito una ritmica sostenuta, con frequenti cambi di tempo dal sapore quasi progressive, che sconfinano in un paesaggio dissonante che crea un clima di disorientamento: il titolo del brano è quantomai appropriato. Un silenzio ingannevole - fin qui il brano è totalmente strumentale - anticipa la coda in cui ritrova il riff iniziale in una struttura circolare, in cui riesplodono le urla strazianti di Kjiel: “paranoia, don’t leave me now”. 

La chiusura del disco è affidata a Doors, altro brano di grande intensità che inizia con una melodia ad un piano brillante, quasi un clavicembalo, che gli dona un sapore rinascimentale, per poi deflagrare in un grido di disperazione ad annichilire qualunque speranza residua di salvezza. Il clarinetto di Vittøriøm, per l’occasione accompagnato da un inquietante glockenspiel, ci porta lì, dove tutto è iniziato. Magari per ricominciare ancora. Ascoltare “Our” a luci spente non è un consiglio, ma direi quasi una prescrizione, per assaporarne ogni cesello, come è doveroso per le grandi opere. Perché al terzo capolavoro i Notturno si candidano ad essere la più importante realtà attuale nel depressive metal italiano, conquistandosi il loro posto in quest’oscura valle di lacrime. 

Recensione a cura di mu:d
Voto 90/100

Tracklist:

1. Adagio 
2. Inside 
3. Anymore 
4. Paranoia
5. Doors

Line-up:
Sven Vinat - Drums
Vittorio Sabelli - Guitars, Bass, Clarinet, Bass Clarinet, Piano, Keyboards
Kjiel - Vocals

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