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J.C. CINEL "Where The River Ends" (Recensione)


Full-length, Andromeda Relix
(2024)

“Where The River Ends” ha avuto una gestazione lunga, registrato in un arco temporale di sette anni ed ha visto la luce in questo 2024. Forse per questa ragione al suo interno si respirano tante anime diverse ma tutte riconducibili ad un genere: l’hard rock nelle sue molteplici sfaccettature. Le atmosfere generali riportano prepotentemente agli anni settanta (“Burning Flame”), senza lambire gli ottanta e sfiorando i novanta. La stessa produzione ci riporta all’epoca d’oro del rock, ma non lasciatevi ingannare. Qui non si tratta di un copia e incolla di band blasonate. J.C. Cinel ha imparato, forse sarebbe meglio dire fagocitato la lezione dei mostri sacri dell’hard rock, ma ha reso il tutto molto personale, con una musica varia, frizzante, dinamica che si snocciola per ben settanta minuti attraverso dodici brani che non danno mai l’impressione di stanca o di ripetizione. 

Per certi versi ha seguito la traiettoria di band come i The Quill (“How Far We Shine”), senza focalizzarsi su determinate ritmiche, ma aprendosi a più soluzioni possibili. Vista la voluminosità di quanto proposto sono richiesti diversi ascolti per scoprire le tante sfaccettature e per orientarsi nel modo migliore. J.C. Cinel ha scritto, arrangiato e prodotto tutto da solo, avvalendosi della collaborazione di diversi musicisti per finalizzare al meglio le sue canzoni. Questo nuovo lavoro solista si dimostra maturo, con suoni incisivi e con soluzioni interessanti. Le influenze sono equamente divise tra l’hard più verace anglosassone e l’hard più laccato americano. L’opener ‘City Lights’ ha un ottimo tiro con un sound che ci porta direttamente negli U.S.A e ci fa immaginare di viaggiare sulla Route 66 a cavallo di un’Harley proprio in mezzo al deserto. Un hard blues con tanto di armonica e slide come “Asylum” ci porta in territori più paludosi. Sugli stessi toni vi è la più canonica rock’n’roll song “Thank God I Was Alone”. Un robusto hard rock ci accoglie in ‘Oblivion’ con un ottimo ritornello e un hammond stile John Lord che ci porta in territori più anglosassoni. Un mix di sensazioni ci travolge ascoltando ‘Feel Like Prisoners’ con il suo andamento sinuoso tra chitarre volanti e un ritmo che sostiene le parti più dinamiche. 

L’ottima produzione risalta il groove d’insieme, con gli strumentisti coinvolti che forniscono un ottimo apporto all’insieme. La semiacustica “Mindmaze / Red-handed” si avvicina agli anni novanta, con un’ottima chitarra slide. Sicuramente è uno dei migliori episodi tra quelli proposti con una vocalità che richiama lontanamente un certo duca bianco. Colpisce la cura negli arrangiamenti, in cui nessun dettaglio è lasciato al caso, ma tutto è studiato nei minimi particolari. “When Side Are You On” con le sue atmosfere ricorda gli Uriah Heep. 

L’acustica “Karakal” riporta alla mente i Badlands e mi sembra che da un momento all’altro possa fare la comparsa la voce di Ray Gillen, ma è solo uno strumentale e allora lasciamo spazio alla fantasia! “Strangers” ci accarezza con il suo ritmo lento e l’andamento blueseggiante e ci propone il momento più intenso con un finale a sorpresa dai toni prog. La conclusiva “Where The River Ends” è una ballad elettrica che alterna toni malinconici a scariche elettriche, con un ottimo solo finale carico di feeling. “Where The River Ends” è un ottimo album hard rock, composto da canzoni scritte con passione e che farà la gioia di quanti amano queste sonorità.

Recensione a cura di John Preck
77/100 

Tracklist:

01. City Lights
02. Oblivion
03. Feel Like Strangers
04. Mindmaze/Red-Handed
05. Asylum 22
06. Burning flame
07. How Far We Shine
08. Karakal (Lost In Shangri-la)
09. Strangers
10. Thank God I Was alone
11. Which SideAre You On
12. Where The River Ends

Line-up:
JC Cinel - voce solista, chitarra ritmiche e solista 
Davide Dabusti - chitarre 
Andrea Toninelli - chitarre 
Daniele Tosca - basso 
Marco Lazzarini - batteria 
Paolo “Apollo” Nigri -  organo Hammond

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