DEATHSPELL OMEGA "The Long Defeat" (Recensione)
Full-length, Norma Evangelium Diaboli
(2022)
Contorni distopici anneriti dalla furia degli Dèi, orizzonti di morte e distruzione e tracce di antiche filosofie, in un mantello sonoro di sperimentazione, agonia e introspezione, veicolo di emozioni lugubri e di paesaggi onirici. La ricetta musicale e concettuale è così servita, a rappresentare l'ennesima espressione di un percorso artistico iniziato a Poitiers ormai ventiquattro anni or sono, giunto ad un ottavo atteso capitolo dal titolo "The Long Defeat". Stiamo parlando dei Deathspell Omega, una delle realtà sicuramente più affascinanti del panorama estremo europeo e che nel corso degli anni non ha mai smesso di stupire, abbandonando a poco a poco le frontiere nere e cupe delle origini verso un'esasperata ricerca sonora che non sembra conoscere traguardo alcuno e che passo dopo passo scandisce l'inesorabile viaggio del trio d'oltralpe verso angoli remoti sempre più profondi ed evocativi; i tempi della furia devastante di scandinava memoria di capolavori quali "Infernal Battles" e "Inquisitor of Satan" sono ormai dimenticati, e il percorso intrapreso a partire dal terzo fatidico album "Si Monvmentvm Requires, Circvmspice" appare in costante evoluzione, votato al fascino alienante dell'avanguardia verso sonorità sempre più dissonanti e folli, che sembrano giungere da una qualche dimensione lontana persa nel tempo e nello spazio.
"The Long Defeat" arriva a tre anni di distanza da "The Furnaces of Palingenesia", forse l'album più sperimentale del trio, per proseguire sulla stessa falsa riga dei precedenti lavori, attraverso liriche ermetiche e apocalittiche che attingono al culto del pensiero razionale e strizzano l'occhio al satanismo, inteso come mezzo di liberazione dello spirito e di trascendenza dell'anima: il progetto formato nel 1998 dal chitarrista Hasjarl come side-project degli Hirilorn e dal bassista Khaos, accompagnati da ormai un ventennio dell'inossidabile vocalist Mikko Aspa, tornano sulla scena con un'opera claustrofobica e lugubre di pura sperimentazione sonora, carica di melodie riflessive e tragiche, a tratti sofferte, che sembrano sfuggire a qualsivoglia definizione e cavalcano panorami spettrali e tetri, quasi a descrivere un incubo in cinque parti che accompagna l'ascoltatore nel suo abisso interiore, scortandolo verso l'ignoto. La line-up si arricchisce delle presenze di lusso di Mortuus dei Marduk e dei Funeral Mist e di M. dei Mgla, donando al lavoro sfumature vocali più intense e variegate che ben si inseriscono nelle bizzarre armonie sonore dei tre di Poitiers, qui in una veste inquietante e musicalmente oppressiva che spalanca le porte ad un Inferno mai visto prima.
Il lavoro si apre con la lunga "Enantiodromia", il cui titolo fa riferimento all'antica filosofia di Eraclito secondo la quale nel divenire ogni cosa muta nel proprio opposto, fondamento del Taoismo cinese e della psicanalisi junghiana: il brano, in quasi dodici minuti di durata descrive un'Apocalisse biblica attraverso un crescendo lento e ipnotico tra chitarre lugubri e vocalizzi sofferti, sfumature industrial e assoli dissonanti, growl profondissimi e urla disperate che precedono un finale dark ambient ancor più terrificante, spaziando tra follia e disperazione nel tentativo perfettamente riuscito di avvolgere l'ascoltatore nella sua tela. La successiva "Eadem, Sed Aliter", ispirata alla filosofia di Schopenhauer del ripetersi costante di ogni cosa che è il motore della storia, si apre con le armonie di chitarra di Hasjarl e con un crescendo di batteria accompagnati dal recitato sofferto di Mikko, ad anticipare la prima furiosa accelerazione dell'album, che dopo un brillante assolo melodico si ripete sul finale, guidando armonie fredde e struggenti alla loro inevitabile conclusione; a seguire troviamo la sontuosa title-track, dall'introduzione sofferta che degenera nella ferocia di un blast-beat accompagnato da un lungo assolo affilato dai richiami epici del founder, prima di un finale doom carico di intensità e di malinconia, motore di emozioni disturbanti e di inquietanti visioni sataniche.
L'ottavo album dei Deathspell Omega si chiude dopo quarantaquattro minuti di sonorità disturbanti con la solenne "Our Life is Your Death", dai richiami occulti e sinistri, aperta dal basso di Khaos e con un incedere lento e oppressivo caratterizzato da canti corali maestosi, melodie lugubri di chitarra e passaggi di pura sofferenza sonora, fino al brillante assolo conclusivo di pregevole fattura. "The Long Defeat" lascia dietro di sè le tracce indelebili della sua essenza sperimentale, tra avant-garde metal, industrial e black/doom con richiami quasi progressive, da nutrire ascolto dopo ascolto e farsi da queste travolgere, come in un viaggio al di là del mondo conosciuto ove è necessario chiudere gli occhi e aprirsi all'oblio della ragione, facendosi semplicemente guidare dalle emozioni. Il lavoro rispecchia la natura ermetica dei Deathspell Omega, da sempre elementi misteriosi della scena metal del Vecchio Continente nonostante la fama del loro progetto: siamo di fronte all'ennesima conferma del valore compositivo e tecnico del trio francese, che non vuole smettere di partorire incubi sottoforma di musica veicolando l'anima del suo pubblico di seguaci oltre le frontiere del reale, verso il delirio profondo e caotico che è così abilmente narrato nelle sue gelide e dissonanti note.
Alessandro Pineschi
Voto: 83/100
1. Enantiodromia
2. Eadem, Sed Aliter
3. The Long Defeat
4. Sie Sind Gerichtet!
5. Our Life Is Your Death
Line-up:
Mikko Aspa - Vocals
Khaos - Bass
Hasjarl - Guitars
Bandcamp
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