VULTURE LORD "Desecration Rite" (Recensione)
Full-length, Odium Records
(2021)
A diciotto anni dall'uscita del loro album di debutto "Profane Prayer" riappaiono sulla scena estrema europea i Vulture Lord, storica band thrash/black metal norvegese dai forti richiami old-school , che rompe un silenzio che durava dall'EP "Blasphemy" del 2006; nel mezzo solo un paio di compilation (l'ultima uscita l'anno scorso come riedizione delle prime due demo) ma soprattutto la prematura morte del chitarrista e fondatore Trondr Bråthen, alias Nefas, co-fondatore dei più noti Urgehal, avvenuta nel 2012. La band originaria della piccola cittadina di Hønefoss, nata nel lontano 1995 dalle ceneri di ben quattro progetti embrionali, è rimasta da allora con il solo cantante Kat Ghil Northgrove come superstite della formazione originaria, alla quale negli ultimi anni si sono aggiunti Malphas dei Carpathian Forest al basso e i due ex-Urgehal Enzifer alla chitarra e Uruz alla batteria. Con questa nuova line-up è stato realizzato il secondo attesissimo album del progetto, "Desecration Rite", interamente composto dal compianto Nefas una decina di anni fa; il lavoro uscirà a giugno sotto l'etichetta britannica Odium Records, sancendo il ritorno della band scandinava dopo la prolungata assenza dalle scene. "Desecration Rite" è composto da nove rabbiose tracce che per tutti i quasi quaranta minuti di durata della release martellano con veemenza senza mai rallentare, vomitando con ferocia e brutalità addosso all'ascoltatore la blasfemia di cui si fanno portatrici.
L'abilità tecnica dei suoi componenti risalta in ogni singola traccia, in un susseguirsi di affilati assoli in puro stile thrash/death e diabolici blast-beat senza esclusione di colpi, accompagnati dalle atmosfere cupe e fredde di chitarre prettamente old-school, spietate evocatrici delle infernali trame degli anni d'oro del black metal nordico, di cui i Vulture Lord sono stati protagonisti. La perfetta coesione di black, thrash e death, tessuta intorno a un sound duro e martellante ai limiti dell'impossibile, dona al lavoro un'aura malefica priva di compromessi che sembra inneggiare a tempi arcani mai dimenticati, raccogliendo un'eredità di sangue e oscurità che non si è lasciata appassire dai lunghi anni di silenzio trascorsi. L'atmosfera occulta ed esoterica dell'album, schiusa dalla breve opener "Glorification of the Dethronation", viene immediatamente surclassata dal fulminante assolo che apre "Bloodbound Militia", su cui la martellante batteria di Uruz si scaglia con violenza inenarrabile; lo scream feroce di Northgrave intona inni blasfemi tra cambi di tempo repentini e assoli tecnici, per poi cocnedersi alla furia del blast-beat dominante. Più lunga e lavorata è la successiva "Stillborn Messiah, uscita come singolo di lancio, la cui partenza aggressiva è mitigata da un riff in puro stile black metal che apre un mid-tempo su cui si erge un brillante assolo tecnico dai richiami death; la ripresa della seconda parte è guidata da una spedita batteria e dalle chitarre di Malphas e di Enzifer, che cavalcano sontuose fino alla ferocia del finale.
La prima parte dell'album si chiude con due pezzi più ragionati dalla ritmica thrashy, pullulanti di mid-tempo, di assoli serrati e di bestiali incisi thrash/black che rimandano alla seconda metà degli anni Ottanta (come in "The Vulture Lord"), ma con la decisa "Prepare the Coffin" risorge una violenza in realtà mai accantonata, ma solo in parte affievolita: il brano si apre con la furente batteria di Uruz e con un riffing freddo e serrato, che partorisce armonie taglienti nel successivo blast-beat prima di aprirsi ad un assolo melodico e incalzante, ad anticipare l'incontrollata furia del finale. Main-riff lenti dai richiami thrash interrotti da accelerazioni repentine e una lunga serie di assoli affilati caratterizzano la successiva "Beneficial Martyrdom", mentre la conclusione è affidata agli oltre sei minuti della cavalcante "Perverting the bible", aperta da un black/doom sinistro e oscuro in un crescendo fino alla brutale esplosione thrash/black: la seconda parte è guidata dalla furia del blast-beat e da chitarre oscure e fredde, su cui lo scream malvagio di Norhgrove si scaglia con altrettanta ferocia, ad anticipare il lungo assolo fulminante conclusivo.
Con questo secondo lavoro sulla lunga distante i Vulture Lord riprendono da dove avevano lasciato quindici anni fa, senza aggiungere nulla alla loro ricetta di pura blasfemia, di violenza e di nera malvagità ma mostrando tutta la capacità tecnica dei suoi elementi, senza passaggi a vuoto degni di nota nè soluzioni particolarmente elaborate. Il loro è un black metal ancorato alla crudezza della prima ondata, arricchito da influenze death ma anche da un sound pulito e definito, grazie anche alla buona produzione dell'album; il tempo dunque non sembra aver scalfito l'anima nera della band di Northgrove, che dopo quasi trent'anni di attività ma ben poche release intende recuperare il tempo perduto e ripartire da dove il viaggio si era interrotto, continuando a macinare una primitiva violenza a colpi di blast-beat e di ferocissimi assoli, nella speranza che l'ode al male di cui si fanno nuovamente esecutori non cessi di far brillare la sua diabolica fiamma.
Alessandro Pineschi
Voto: 76/100
1. Glorification of the Dethronation
2. Bloodbound Militia
3. Stillborn Messiah
4. The Vulture Lord
5. Diabolical Intervention
6. Prepare the Coffin
7. Beneficial Martyrdom
8. Burning the Kingdom of God
9. Perverting the Bible
Line-up:
Sorath: Northgrove Vocals
Malphas: Guitars, Bass
Enzifer: Guitars
Uruz: Drums
Homepage
Spotify
Nessun commento