AARA "Triade I: Eos" (Recensione)
Full-length, Debemur Morti Productions
(2021)
Dagli imponenti paesaggi naturali della Svizzera che si schiudono ai piedi delle Alpi, insinuandosi lungo i limpidi ruscelli che attraversano il silenzio dei boschi vergini, giungono gli Aara, duo formato nel 2018 che propone un'affascinante versione di black metal melodico e atmosferico con tocchi neoclassici carico di epicità e di travolgenti melodie. Al terzo album in studio in altrettanti anni, il progetto composto dal polistrumentista Berg e dal cantante Fluss si sta confermando una delle formazioni più prolifiche in ambito black metal degli ultimi anni, capace di partorire un proprio sound modellando le influenze scandinave che ne rappresentano indubbiamente la principale essenza, definita anche dagli pseudonimi utilizzati dai due, dal significato rispettivamente di "montagna" e "fiume" in lingua scandinava.
Il cantico dei Nostri della natura svizzera a cui appartengono si ferma tuttavia nella scelta dei nomi, poichè la musica da loro proposta è carica di negatività e di un malessere insito nei suoi testi che ben poco ha da spartire con la meraviglia dei panorami d'oltralpe, penetrando l'animo umano alla ricerca di sentimenti più oscuri ed auto-distruttivi lì celati. Gli Aara si presentano sulla scena nel 2019 con l'acclamato album di debutto "So Fallen Alle Tempel", seguìto l'anno seguente da "En Ergo Einal", e in queste prime battute del nuovo anno ecco uscire il terzo lavoro dal titolo "Triade I: Eos", primo capitolo di una trilogia ispirata al romanzo gotico di Charles Robert Maturin "Melmoth l'errante" del 1820. Il duo svizzero, qui accompagnato dal batterista J., intende nelle sei tracce che compongono il lavoro riprendere l'aura sinistra ed occulta del celebre lavoro dello scrittore irlandese, prozio di Oscar Wilde, la cui trama si estende intorno all'oscura figura dello studente ebreo Melmoth, che dopo aver venduto l'anima al diavolo in cambio dell'immortalità vaga per centosettanta anni alla ricerca di qualcuno che prenda il suo posto, seminando ovunque morte ed orrore. Al centro della storia, ambientata nel 1816 e con protagonista un giovane discendente di Melmoth, si trova un inquietante ritratto datato 1646 che ritrae l'uomo nelle medesime sembianze, svelandone l'oscuro potere acquistato da Lucifero in persona in cambio della propria anima. Gli Aara ripercorrono in questo primo concept gli intrighi dal sapore esoterico ed orrorifico che hanno reso il romanzo di Maturin uno dei più famosi ed apprezzati del genere, dando al loro sound ricco di melodia e di epicità una massiccia essenza classica e tradizionale, quasi antica, volta e rievocare il male ancestrale contenuto all'interno della figura così brillantemente designata dalla penna dello scrittore irlandese, che rivive nelle note di un album carico di esoterismo e di oscurità.
L'album si apre con la coinvolgente introduzione ambientale di "Fathum", su cui si scaglia la furia distruttiva della batteria di J. e serpeggia il riffing melodico ed affilato di Berg, ad anticipare il graffiante scream di Fluss che dona all'atmosfera del brano un'essenza aspra e maligna, accentuata da tastiere epiche e maestose; il pezzo è un susseguirsi di taglienti melodie di chitarra e di sfuriate di batteria, in un crescendo di intensità e armonia fino allo struggente intermezzo acustico dai richiami post-rock che anticipa la ripresa finale, condita da blast-beat e da riff melodici e travolgenti ricchi di atmosfera. La successiva "Tantalusqual" rappresenta una perfetta unione di aggressività e di melodia, risalendo dal mid-tempo iniziale alla ferocia di un blast-beat dal riffing serrato e tagliente in cui la batteria di J. si fa pesante e raggiunge velocità inumane, guidando le fila di un brano che alterna pura violenza ad epica armonia, accelerando e rallentando fino alla serie di riff melodici ed atmosferici del finale. Più contenuta nella ritmica e variegata è "Naufragus", in cui si odono accenni di canti ecclesiastici in clean femminile, alternati al diabolico scream di Fluss, e c'è spazio anche per un cupo rallentamento black/doom prima della violenza di un finale dai richiami industrial blackened death metal. "Nimmermehr" rappresenta uno dei migliori episodi della release, schiuso dalla violenza devastante della batteria di J. e dal riffing affilato e melodico di Berg, a cui fa seguito un maestoso passaggio di indefiniti cori in clean onirici e armonie di chitarra epiche e maestose, alternate ad altre dalle linee fredde e cupe; un riff melodico spezza il brano a metà, aprendo l'accelerazione epica e melodica della seconda parte, arricchita da tastiere sognanti, prima di un finale in cui si ripetono impetuosi i canti corali dall'aura occulta ed esoterica.
L'album si chiude con la pregevole "Effugium", che si presenta con la ferocia del blast-beat e con il riffing incalzante e definito del polistrumentista, sormontato da un cantato quasi lacerante e disperato, mentre in sottofondo le tastiere definiscono atmosfere epiche e maestose; un intermezzo dark ambient con canti clericali e rumori vaghi e indefiniti anticipa l'accelerazione della seconda parte, accompagnata da linee di chitarra affilate e sontuose, prima del passaggio di tastiere atmosferiche che anticipa il crescendo finale di alta epicità, scandito da cori maestosi, assoli melodici e tastiere avvolgenti e impetuose, che segnano il lento declino di un lavoro che stupisce al primo ascolto e toglie il fiato al secondo, cavalcando melodie alienanti con una folle aggressività che raramente lascia l'orecchio e il cuore riposare. "Triade I: Eos" è un album che conferma la solidità di una band giovane ma con un'identità ben definita, maturata in breve tempo grazie ai tre album rilasciati in altrettanti anni di attività, regolata dalla bravura tecnica di Berg e dalle melodie coinvolgenti delle sue chitarre, fredde e taglienti come lame ed al contempo epiche e sognanti come le tastiere, volte ad avvolgere l'ascoltatore nel suo vortice melodico e tragico. Il lavoro del batterista turnista in questo album è pregevole e dona al sound una violenza che raramente si acquieta, e forse è proprio questo l'unico punto debole del lavoro, che risulta abbastanza piatto nella sua diabolica furia, seppur carica di epicità.
Gli Aara probabilmente devono ancora maturare sotto questo punto di vista e dimostrare il coraggio di variare, rallentando fino a creare atmosfere ancora più intime e sognanti, che costituiscano dell'aggressività sonora dei loro brani non un'interruzione ma una fedele compagna di viaggio nel loro superbo Universo musicale.
Alessandro Pineschi
Voto: 84/100
1. Fathum
2. Tantalusqual
3. Naufragus
4. Nimmermehr
5. Das Wunder
6. Effugium
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