À RÉPIT "I Canti della Veglia" (Recensione)
Full-length, Naturmacht Productions
(2021)
Un vento gelido penetra con violenza una valle ghiacciata immersa nel silenzio, riecheggiando lungo i dorsali innevati di un'alta cresta delle Alpi occidentali, nel cuore di un inverno rigido e spaventoso che sembra soffocare ogni gemito ed ogni rumore nella quiete perenne delle sue fredde sere, il cui prematuro calare risveglia dal sonno le oscure presenze nascoste negli angoli più remoti delle foreste, all'ombra dei monti; si odono antichi canti ed occulte litanie levarsi nell'aria in lontananza, come giungendo da un tempo lontano e indefinito, ridestati dai racconti degli anziani pastori di fronte al tiepido fuoco di un camino, nel tepore di un nido familiare che respinge le creature maligne che attendono là fuori il freddo richiamo della notte. In questo panorama alpino pregno di tradizioni occulte, di misticismo e del respiro inviolato della montagna, venerata come una divinità dagli ancestrali luoghi di culto delle secolari foreste o dalle piane ghiacciate delle pendici, prendono forma gli À Répit, duo dedito ad un black metal old-school che si fa narratore di antiche leggende e credenze popolari del luogo, nonchè espressione musicale del culto ancestrale della natura alpina, nelle sue forme più oscure e diaboliche. Il progetto nasce ad Aosta nel 2012 per volontà del polistrumentista e cantante Gypaetus, ex-membro dei Nefarium, al quale quattro anni più tardi si aggiunge dal versante opposto delle Alpi il biellese Skarn degli Entirety e dei Paymon; il nome si riferisce all'antico rituale della "doppia morte" della tradizione cristiana, in cui all'interno dei cosiddetti santuari à rèpit si era soliti celebrare il ritorno alla vita dei bambini nati morti per il tempo necessario a battezzarli, evitando loro l'oscurità del limbo e destinando la loro anima all'Aldilà.
Il duo esordisce nel 2017 con il primo album in studio "Magna Leggenda", inno alla natura alpina e alla sua aura mistica, a cui fa seguito dopo quattro anni di attesa il recentissimo concept "I Canti della Veglia", uscito nel febbraio di quest'anno sotto la francese Naturmacht Productions. L'album, che vede la partecipazione straordinaria di Nequam dei piemontesi The Magik Way, prosegue la linea tradizionale del suo predecessore arricchendosi di una più massiccia presenza occulta, volta a rievocare le leggende più oscure che abitano quei luoghi in una cornice esoterica popolata di streghe che cantano sotto la luna piena evocando il demonio e di mostruose creature che riemergono dall'ombra per spaventare i bambini e condurli nel loro tenebroso regno di orrore. L'album si apre con il canto popolare "Signore delle Cime", preghiera corale tradizionale dedicata alla commemorazione degli alpini caduti, figli della montagna, per poi sprigionare il suo graffiante black/doom dal riffing cupo e melodico e dalle gelide eco atmosferiche con la successiva "Bezoar", ispirata all'omonimo amuleto che nella tradizione alchemica medievale si riteneva avesse poteri curativi; il brano si conclude con un coro in clean dai forti richiami epici. L'atmosfera cambia completamente con l'occulto e sinistro dark ambient di "Amnios", sormontato da un suono di campane e da un duetto di voci sussurrate tra cui si ode quella di una bambina, simbolo di vita così come il liquido amniotico del titolo, allegoria alchemica della nascita e del distacco dalle radici dell'albero prenatale. "Seungoga", brano dal forte sapore old-school, si riferisce agli omonimi sabba alpini delle streghe, che con oscuri malefici evocano nelle notti invernali spiriti maligni e demoni lungo i pendii ghiacciati; lo scream di Skarm è qui sporco e aspro, quasi demoniaco, e il sound sembra ricalcare un certo tipo di thrash/black dei primissimi anni Novanta, che accelera assumendo contorni atmosferici e sinistri fino ad un riff di chitarra tagliente a cui fa sèguito un blast beat dannatamente cupo, la cui essenza antica e malvagia spalanca le porte alle trame più terrificanti dei racconti alpini, racchiuse in un'aura tenebrosa che trascina l'ascoltatore in un abisso di ghiaccio, morte e sangue.
"Masnada" è un brano lento e sinistro dai richiami prog rock ispirato alla versione alpina della Masnada di Hellequin, schiera di demoni della tradizione francese alla guida di una compagine di peccatori verso la dannazione, mentre la successiva "Processione" risale da un cupo black/doom melodico ad un feroce blast-beat dal riffing serrato e tagliante, fino ad una sognante e lugubre litania in cui duettano voce in clean e scream demoniaco. Il neofolk de "Il Passo delle Cenge" muta nuovamente l'atmosfera del lavoro e desta inedite sensazioni, suonando malinconica e tenebrosa nel suo incedere acustico e nella voce recitata che imita un racconto dell'orrore in una sera invernale, in un'atmosfera evocativa e sinistra guidata dalle tastiere e conclusa da un sognante passaggio ambient; il brano è ispirato al sentiero delle cenge, impervie sporgenze rocciose pianeggianti poste sui dorsali delle montagne che si aprono al baratro, ricche di storia e di epicità nonchè sinonimi di riposo e di tregua, rifugi di soldati durante la guerra o passaggi di coraggiosi scalatori e di alpinisti. Lo scream diabolico di Skarn apre "La roccia di Jean Grat", brano dai richiami viking metal e dal riffing atmosferico su cui si eleva un maestoso cantato corale in clean, a cui si aggiunge una soave voce femminile a schiudere sfumature ancora più evocative e sognanti. L'episodio migliore della release è probabilmente la lunga "Ventre di lupo", che nei suoi otto minuti di durata risale dalla malinconica introduzione acustica arricchita da tastiere atmosferiche e cori liturgici ad un puro black metal old-school dal riffing freddo e cupo e dallo scream graffiante, fino alla ferocia in blast-beat della seconda parte, introdotta da un gelido riff e da ululati di lupo raggelanti, per poi concludersi con i cori epici e tragici del finale. Dopo il pregevole omaggio ai Mortuary Drape di "Vengeance from Beyond" il lavoro si chiude con il post-rock malinconico di "Essenza", brano acustico scandito da voci sospirate che si ergono sul lento fluire dell'acqua di un ruscello dai contorni epici delle tastiere e dai richiami stregoneschi dello scream della parte centrale, andando a simboleggiare la quiete della montagna che lascia cantare la natura, talvolta in modo delicato e in altre volte quasi da incutere paura, allegoria del riposo dei ghiacci e della sognante malinconia delle foreste alpine, ove tutto sembra giacere immutato nel tempo e nelle fredde notti di plenilunio ancora si odono le streghe danzare e intonare oscure litanie, richiamando dal sonno creature malvagie esistite sin dalla prima alba del mondo.
"I Canti della Veglia" è molto più di un concept album sulle tradizioni occulte alpine, ma un modo di raccontare attraverso la musica lo spirito della montagna e l'amore incontrastato per la natura, dal punto di vista di coloro che la vivono con il rispetto che le è dovuto, venerandola come una dea e proteggendola come una figlia. È la visione maestosa della serena convivenza con gli elementi animati e non animati che ci circondano, che sono parte di quel tutto di cui siamo servi e non sovrani, figli e non creatori. Gli À Rèpit hanno saputo qui scavare nel ventre del mondo, esorcizzandone il male presente con le antiche leggende senza tempo che lo abitano, avvolte in un manto oscuro ed ermetico che raramente si svela allo straniero, poiché a questi è invisibile ed estraneo, minaccioso come il pendio ghiacciato per chi dal basso ne teme la cresta, come il bosco inviolato per chi pavido ne rifugge lo sguardo.
Alessandro Pineschi
Voto: 83/100
1. Signore delle cime 02:07
2. Bezoar 05:16
3. Amnios 03:52
4. Seungoga 04:51
5. Masnada 03:33
6. Processione 05:40
7. Il passo delle cenge 05:32
8. La roccia di Jean Grat 05:33
9. Ventre di lupo 07:57
10. Vengeance from Beyond (Mortuary Drape cover) 04:10
11. Essenza
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