RED CAIN "Kindred: Act II" (Recensione)
Full-length, Independent
(2021)
Giorni fa mi si sono aperte le nubi sopra la testa, e mentre venivo disarcionato da una folgore perdendo la vista, una voce (molto simile a quella del Capo Redattore) ha rombato: “Lorenzo, hai rotto le palle col Black Metal! Beccati questo!” Una volta riacquistati i sensi – e soprattutto smettendo immantinente di dire cazzate – mi sono ritrovato di fronte a secondo full-length dei Canadesi RED CAIN, dal titolo “Kindred: Act II” e rilasciato in via del tutto indipendente il 22 Gennaio scorso. A questo giro ho voluto attuare una manovra di totale ignoranza: siccome il disco precedente della band (uscito due anni fa n.d.r.) prende il nome di “Kindred: Act I” e percependo nell'aria una sonora rottura di coglioni data dalla voglia schifosamente prog nuova scuola di dividere i dischi in “atti” per sembrare intellettuali, ho deciso di recensire il disco odierno escludendo a priori il suo predecessore, di modo da vedere subito se questo combo di Calgary non avesse solo luoghi comuni alla propria cartucciera. C'è anche da dire che, mai come in questo caso, il termine “progressive” sia fuori luogo: sì, la presenza di certe soluzioni – sia nei duelli fra strumenti che in certe strutture – strizza indubbiamente l'occhio agli abusatissimi Dream Theater ed ai Symphony X, tuttavia il piglio ha molto più di che spartire con “Night Electric Night” che con “Images and Words”.
Nella coppia di tracce in apertura ad esempio, la vena festaiola e coperta di glitter sovrasta di gran lunga quella del prog metal, proponendo spesso pezzi che sono soltanto impreziositi dai virtuosismi, senza però fondarne la propria struttura sopra. Tastiera arrogante, ritornelli mega aperti e sempre ruffiani da morire (anche se quasi sempre dannatamente orecchiabili) sorretti da un lavoro strumentale tutto sommato ben realizzato e ben organizzato. Belle soluzioni su “Baltic Fleet” e su “Demons” (pezzo migliore del disco) che fanno di questi andamenti molto pompati i loro punti di forza, andando poi a sommare strutture su strutture, soli su soli, riportando la suddetta influenza momentaneamente verso lidi (effettivamente) più progressive metal.
Purtroppo le problematiche per il reparto del songwriting arrivano sempre, prima o poi, e in questo caso quando arrivano rompono e tanto. Al di là di quello che possa essere un disco tremendamente patinato, ma che allo stesso tempo riesca a conservare un certo fascino “perverso” ed elegantemente leccaculo, urge puntare il dito su due difetti innegabili: la voce e il “djent”. La prima è inutilmente arabescata e da il peggio di se nelle parti simil-growl, dove lo scoglio mentale e artistico che divide questo combo e una qualsiasi band DAVVERO estrema diventa chiaro come il sole. La seconda parte della mia critica è direttamente collegata alla prima: posso godermi in santa pace un riff che mi fa tornare alla Rockoteca senza troppa pensieri? A quanto pare no, poiché spesso e volentieri la band si lancia in dei momenti che sono il discount del discount dei Periphery, andando a rovinare un groove sì pacchiano all'inverosimile, ma almeno coerente con se stesso.
Il Profeta disse: “Diffidate delle band che vogliono legittimarsi volendo suonare complicato per forza!”. Qui purtroppo siamo di fronte proprio a questo scenario: una band giovane, tecnicamente dotata, col dono di scrivere pezzi possibilmente da “metal in radio” a rotazione fissa, che però si tira clamorosamente la zappa sui piedi in nome del Falso Dio del “suonare difficile”.
Hellbanno (L.B.)
65/100
1. Kindred 05:07
2. Demons 04:40
3. Precipice of Man 05:18
4. Baltic Fleet 04:53
5. Varyag and the Shrike 05:54
6. Sons of Veles 05:01
7. Sunshine (Blood Sun Empire)
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