HARAKIRI FOR THE SKY "Mære" (Recensione)
Full-length, AOP Records
(2021)
Esattamente dieci anni fa, dall'unione tra il polistrumentista di Salisburgo Matthias Sollak e il cantante viennese Michael V. Wahntraum ebbero origine gli Harakiri for the Sky, pionieri di quel movimento post-black metal figlio della contaminazione del metal estremo con il post-rock e il blackgaze che nell'ultimo decennio ha avuto un riscontro molto positivo, pur facendo storcere il naso ai puristi del genere e incontrando pareri assai discordanti. Dopo quattro album pubblicati tra il 2012 e il 2018 il duo austriaco si è confermato come uno dei maggiori esponenti di questo particolare stile musicale, riuscendo ogni volta a rinnovarsi senza mai porsi dei limiti nel proporre la loro particolare miscellanea di melodia e di aggressività, di atmosfere sognanti e rabbiose tempeste sonore, rivista in una chiave profondamente malinconica che si è resa col tempo portavoce di quel malessere esistenziale e di quell'istinto di auto-distruzione che grava sui più fragili e gli animi più sensibili, tormentati dal materialismo e dall'indifferenza della società moderna. "Mære" è la quinta fatica sulla lunga distanza della band nonchè l'ennesima conferma di una progressiva maturazione di un sound che è andato sempre più evolvendosi nella ricerca di nuove ispirazioni e di sfumature più variegate, restando ancorato all'idea di base del proporre una personale versione di metal estremo carica di raffinatezza e di melodia che non teme di risultare orecchiabile, o come direbbero i fedeli della vecchia guardia perfino commerciale. I delicati influssi armonici sono qui ancora più definiti e cristallini che in passato, a discapito di una ferocia tenuta sotto controllo, sedata come la rabbia repressa che si cela tra le righe, ma presente più che mai nel sottofondo sonoro, vocale e tematico della release. L'album prende il nome dall'omonima entità maligna del folklore nordeuropeo che è considerata portatrice di incubi e del profondo terrore notturno, nonchè causa dell'angosciante fenomeno della paralisi del sonno: Mære è l'allegoria di ciò che la musica degli Harakiri for the Sky vuole essere, surreale fusione onirica di torpore e di ansia volta a scuotere l'animo dell'ascoltatore con continui cambi di ritmo e di atmosfera, mantenendolo in bilico tra struggente malinconia, incontrollato furore e cieca disperazione. Il lavoro consiste in un doppio CD per una durata complessiva di quasi un'ora e mezzo divisa in dieci tracce di pura sofferenza emotiva che spaziano dal depressive rock al post-black metal, strizzando l'occhio agli Alcest e rasentando in taluni casi perfino il puro heavy metal. La formazione, che nel corso degli anni si è avvalsa di musicisti turnisti e di elementi aggiuntivi in sede live, vede la partecipazione del batterista dei Septicflesh Kerim "Krimh" Lechner, oltre che di altre apparizioni occasionali, tra cui quella "fantasma" della cantante Audrey Sylvain (presente in alcuni lavori di Peste Noire, Alcest e Nargaroth), tolta dai crediti a causa delle sue ideologie di estrema destra, a conferma di quanto il perbenismo e il politicamente corretto sia ormai entrato prepotentemente anche nel metal estremo.
Il primo disco si apre con l'ottimo singolo "I, Pallbearer", che dopo un'introduzione post-rock scaglia la sua furia in un'accelerazione con la classica voce disperata di Wahntraum e il riffing melodico di Sollak, rallentando in una sezione post-metal dai richiami heavy fino ad un lento ed oppressivo post-doom metal in crescendo, su cui danzano melodie epiche e appassionanti; la furiosa accelerazione seguente graffia grazie a linee di chitarra taglienti e virtuose che si spengono in prossimità del finale, lasciando il posto ad una delicata sinfonia di pianoforte e di struggenti tastiere. "Sing for the Damage We'Ve Done", che vede la partecipazione straordinaria del cantante degli Alcest Neige, risale dalla raffinatezza dell'introduzione semi-acustica con tanto di pianoforte all'aggressività di un blast-beat comandato dalla batteria di Lechner, su cui si lancia il riffing tagliente e melodico di Sollak, poi chiamato in causa con un pregevole assolo virtuoso; la seconda parte del brano si apre con un'accelerazione dalle influenze alternative a cui seguono soavi cori delicati e sognanti, ad anticipare il post-rock semi-acustico e il crescendo ipnotico del finale. "Us Against December Skies" è uno degli episodi migliori della release, ricco di maestose armonie di chiara ispirazione "opethiana", aperto da un riff melodico e serrato con un crescendo di batteria e pianoforte in un contorno epico e atmosferico travolgente; la voce di Wahntraum si fa esasperata, le chitarre di Sollak delicate e strugggenti, prima di un'improvvisa accelerazione a cui seguono un brillante assolo dai richiami heavy e una sezione in contenimento dalle melodie maestose e sognanti, ad anticipare un finale post-rock concluso da un secondo assolo tecnico e dalle urla disperate del vocalist. Al progressive metal dalle tinte alternative della successiva "I'm All About the Dusk" segue il classico pezzo da concerto "Three Empty Words", figlio dell'esperienza live della band, con una partenza decisa e feroce scandida da intrecci di chitarra superbi e melodici che si perdono in un delicato passaggio acustico sognante; segue un'accelerazione veemente dai contorni epici con la voce rabbiosa di Wahntraum e il riffing tagliente di Sollak, prima di un toccante rallentamento in clean e melodie di chitarra delicate che si evolve in un'atmosfera malinconica e tragica fino al maestoso assolo conclusivo, di rara epicità.
Il secondo disco si apre con la brillante "Once Upon a Winter", un crescendo malinconico e coinvolgente che risale dall'introduzione acustica al mid-tempo atmosferico successivo fino al superbo assolo epico che precede la sfuriata di metà brano, sormontata dalle grida lancinanti del vocalist e dal riffing tagliente del polistrumentista; la delicata conclusione rende l'atmosfera di nuovo onirica e malinconica, in un crescendo epico e maestoso. "And Ocean Between Us" si affida di nuovo ad influenze alternative, risultando memorabile grazie ad un orecchiabile refrain e ad un finale di grande atmosfera che sfiora la tragicità, in un susseguirsi di intrecci melodici raffinati; leggermente più rockeggiante è la successiva "Silver Needle // Golden Dawn", che vede la partecipazione dell'anonimo vocalist della band brasiliana Gaerea, introdotta da un delicato pianoforte che si evolve prima in sognante post-rock dai contorni alternative e poi nella ferocia in blast-beat e nei taglienti riff del finale. Prossimi ai titoli di coda troviamo la sontuosa "Time is a Ghost", che si eleva dalla delicata introduzione acustica ad uno struggente e intenso post-rock dal riffing serrato e dal cantato urlato di Wahntraum, prima di una violenta accelerazione in blast-beat che cambia prepotentemente l'atmosfera del brano, colorandola di pura aggressività sonora; la seconda parte è un crescendo dall'intermezzo acustico ad un mid-tempo melodico fino al tragico e lento post-rock che anticipa la sfuriata conclusiva. L'ultimo brano è una cover dei Placebo, "Song to Say Goodbye", rivista nell'ottica disperata degli Harakiri for the Sky. "Mære" è un album di tragica epicità e di amara malinconia, condito da un odio per se stessi e per il mondo che non conosce limiti, urlato a gran voce nella più sincera esasperazione che nasce dal profondo del cuore: è l'ennesima conferma di una band che ha fatto della contaminazione del metal estremo un veicolo di sentimenti contrastanti, finalizzato ancora una volta a dividere gli ascoltatori e ad essere snobbato dai puristi, che in esso non vedono altro che il tracollo commerciale di un genere nato per sconvolgere e non per aggraziare. Se siete tra questi allora vi sconsiglio vivamente di dedicare un'ora e mezza all'ascolto di questo album, altrimenti potete lasciarvi andare ad un ascolto che non pretende di risultare scomodo nè spaventoso, ma di risvegliare semplicemente quel malinconico senso di oppressione che resta radicato negli animi più sensibili, in attesa di essere svegliato dal suo quotidiano sonno.
Alessandro Pineschi
Voto: 84/100
Disc 1
1. I, Pallbearer
2. Sing for the Damage We've Done
3. Us Against December Skies
4. I'm All About the Dusk
5. Three Empty Words
Disc 2
1. Once upon a Winter
2. And Oceans Between Us
3. Silver Needle // Golden Dawn
4. Time Is a Ghost
5. Song to Say Goodbye (Placebo cover)
Bandcamp
Spotify
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