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BLUT AUS NORD "Ultima Thulée" (Recensione)


Full-length, Impure Creations Records
(1995)

Tra le storiche formazioni della scena black metal europea che nel corso degli anni hanno maggiormente mutato il loro sound attraverso una perenne sperimentazione, alla ricerca di un'identità stilistica e personale ben definita e assolutamente riconoscibile, spiccano senza dubbio i francesi Blut aus Nord, che nei loro quasi trent'anni di attività hanno saputo costruire attorno ai loro lavori un percorso evolutivo che li ha portati dall'ambient/raw black metal degli esordi ad un puro avant-garde metal estremo, passando per l'industrial, per l'atmospheric e per il post-metal. La band formata da Vindsval dalle ceneri del suo progetto solista Vlad nel 1994 si è ormai da tempo affermata nel panorama metal estremo odierno, dando vita ad una crescita tecnica e compositiva che ha costantemente condotto i Nostri sulla cresta dell'onda, a cavalcare imperterriti verso frontiere introspettive e mistiche sempre più profonde e mai scontate, al punto che ormai non se ne ricordano più le origini. 

Eppure un tempo i Blut aus Nord, quando all'immancabile mastermind era affiancato il solo batterista e tastierista W.D. Feld, erano stati molti diversi da come sono adesso, meno inclini all'industrializzazione e alla ricerca dell'onirico e più votati alla ruvidezza di un sound sporco e graffiante, gelido come il freddo vento del Nord in una burrascosa notte invernale. Allora il duo di Mondeville non cercava la perfezione nè l'estasi del trascendente, ma mirava per lui più a sconvolgere l'ascoltatore con atmosfere opprimenti e laceranti, indefinite come la folta nebbia e taglienti come affilate lame d'acciaio. "Ultima Thulée" esce il 15 gennaio del 1995 per la francese Impure Creations Records, dando così inizio alla lunga e prolifica carriera musicale della band di Vindsval e di Feld, per l'occasione accompagnati dal bassista turnista Ogat. Il fascino travolgente di questa prima colossale release è da ricercarsi nell'imperfezione del suo sound e in quell'aura vaga e indefinita che ne è l'essenza primitiva, volta a incutere timore con un cantato lacerante e disperato, a raggelare con le sinistre melodie delle tastiere e a graffiare con linee di chitarra fredde ed oscure, ben lontane dalle armonie eccentriche dei lavori successivi. 

I Blut aus Nord non sono più stati ciò che furono agli albori della loro discografia, e del resto difficilmente avrebbero potuto riprodurre l'atmosfera sognante e cupa del loro debutto senza cadere nel banale, perciò questo primo lavoro risulta estremamente autentico nell'adempiere all'obiettivo del duo di creare una miscellanea di sonorità grezze e gelide, per quanto minimaliste. "Ultima Thuléè" è molto di più del significato simbolico del suo titolo, di quella disperata cerca dell'ultima mitica terra conoscibile, laddove finisce il mondo e comincia il Vuoto, essendo più prosaicamente un inno alla mitologia norrena e all'impetuoso gelo nordico: è un viaggio intimo ed abissale destinato a non conoscere meta attraverso le Ere passate dell'Universo e le trame che hanno preceduto la genesi umana, laddove l'umano e il divino si fondono divenendo una cosa sola. La copertina, firmata da Max Gherrach, rievoca i gelidi orizzonti innevati della mitica Thule, di Atlantide e di tutti quei luoghi leggendari che dell'animo umano sono i custodi, guardiani della nostra storia e dimore dei nostri più profondi desideri, ove il tempo e lo spazio non sono altro che entità astratte e incalcolabili.

Ad aprire il lavoro troviamo "The Son of Hoarfrost" ("Il figlio della brina"), che tratta di uno dei momenti primi della cosmogonia vichinga, ovvero la nascita di Bergelmir, il gigante di brina discendente diretto di Ymir, il primo essere vivente dell'Universo; il brano è anticipato da una breve introduzione di tastiera che spalanca le porte alla freddezza delle chitarre di Vindsval ed al suo scream avvilente, imprigionato in un'atmosfera dai contorni ambient su cui la batteria di W.D. Feld accelera con decisione fino ad un intenso passaggio acustico dalle tastiere sognanti e delicate, con un cantato in clean in sottofondo alquanto evocativo. Più onirica e surreale è "The Plain of Ida", ispirata alla pianura situata nel cuore della terra degli dèi Asi, Ásgarđr, su sui sorge l'imponente sala del Valhalla; la traccia esordisce con una lunga introduzione di organo a creare un'atmosfera ipnotica ed avvolgente, in un crescendo epico a cui si aggiungono gelide melodie di chitarra dalle eco ambientali e le urla lancinanti del mastermind, mentre la seconda parte è dominata da un black/doom sinistro e sperimentale che si apre all'epicità di un finale atmosferico maestoso. "From Hliđskjálf" è dedicata all'imponente trono di Odino, situato nel suo palazzo Válaskjálf, da cui il Padre degli Dèi riesce a scorgere tutti e nove i mondi che compongono la Creazione; un mid-tempo dalle chitarre fredde e dalle grida graffianti anticipa un lungo passaggio corale dai contorni ambientali, per poi aprirsi al maestoso intermezzo atmosferico in un crescendo di sinfonie epiche travolgenti, prima dell'accelerazione sporca e tagliente del finale. 

A seguire troviamo la prima traccia strumentale dell'album, "My Prayer Beyond Ginnungagap", guidata da cori in clean maestosi ed imponenti che creano un'atmosfera dai forti richiami epici assai coinvolgenti, quasi tragici. "Till' I Perceive Bifröst" inaugura la seconda metà del lavoro, trattando del celebre ponte-arcobaleno che unisce Ásgard alla terra degli uomini, Midgarđr, ponendosi come tramite tra il divino e il terreno; un'introduzione acustica post-rock conduce ad un crescendo dai richiami ambientali e dai gelidi riff fino ad un'accelerazione di batteria accompagnata da struggenti melodie di tastiera e dall'atroce scream di Vindsval, chiudendo dopo una serie di cori in clean e di melodie mastose con un cupo black/doom atmosferico. "On the Way of Vigrid" prennuncia la fine del mondo, il tanto temuto Ragnarök, le cui battaglie tra le forze dell'ordine e quelle del caos avranno luogo nell'omonima leggendaria località; la prima parte del brano rappresenta il momento più feroce della release, con melodie di chitarra cupe e disturbanti e una batteria martellante, mentre nella seconda predomina l'atmosfera oppressiva di un black/doom metal sinistro e graffiante accompagnato dalle urla del mastermind e da tastiere lugubri. 

La breve traccia strumentale dark ambient "Rígsþula", dell'omonimo poema eddico ispirato al dio Ríg, meglio conosciuto come Heimdall in qualità di figlio di Odino e padre dell'umanità, si evolve in un finale dalle note sognanti e delicate che sembrano contenere la soffice eco della neve che cade, ad antipare l'ultima traccia, la lunga e maestosa "The Last Journey of Ringhorn", tristemente ispirata all'ultimo tragico viaggio dell'immensa nave del dio della luce Baldr, figlio di Odino ucciso dal malefico Loki, divenuta per l'occasione pira funeraria dello stesso dio e della moglie Nanna, morta a causa del dolore per la grave perdita. Il brano è introdotto da una coinvolgente melodia in black/doom atmosferico alla quale si aggiunge una ben definita linea di basso di Ogat, in un crescendo di tastiere sognanti dalle eco ambient che seguono la melodia iniziale, accompagnate da vaghe e indefinite voci in clean; un intermezzo acustico delicato e melodico anticipa il crescendo di epicità delle tastiere fino ad una parte conclusiva a dir poco maestosa, in cui si condensano le urla disperate di Vindsval e le sinfonie travolgenti delle tastiere di Feld, mettendo fine al viaggio nell'Universo norreno e alla ricerca mitica di un passato destinato ad essere soltanto sognato, o forse a restare in eterno dimenticato. 

Alessandro Pineschi
Voto: 90/100

Tracklist:
1. The Son of Hoarfrost 
2. The Plain of Ida 
3. From Hlidskjalf 
4. My Prayer Beyond Ginnungagap 
5. Till' I Perceive Bifrost
6. On the Way to Vigrid 
7. Rigsthula 
8. The Last Journey of Ringhorn

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