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HATE FOREST "Hour of the Centaur" (Recensione)


Full-length, Osmose Productions 
(2020) 

Dopo sedici anni di inattività il folle progetto del chitarrista e bassista dei Drudkh Roman Saenko che risponde al nome di Hate Forest prende di nuovo vita e torna a seminare odio e misantropia nell'oscura selva del black metal est-europeo, mai avara di richiami tradizionalisti e di tocchi identitari definiti. Il duo fondato a Kharkiv insieme a Thurios nel lontano 1995 con l'intento di proporre una musica cacofonica e paranoide che scavasse nelle profondità dell'anima per tirarne fuori tutto il male e tutto il nichilismo in essa celati aveva interrotto la sua propaganda insana nel 2004 per poi resuscitare nel 2019 in forma di one-man band dello stesso Saenko, accompagnato in questo nuovo lavoro alla drum machine dal compagno d'armi nei Drudkh Vlad. 

I quattro full-length rilasciati dal duo tra il 2002 e il 2004, anticipati dalla claustrofobica e disturbante demo di debutto "Scythia", hanno scritto con il loro raw black metal dalle tinte ambientali una delle pagine più nefaste e sperimentali della scena ucraina, vomitando puro orrore con un cantato in costante evoluzione, orientato alla ricerca di espressioni gutturali sempre più malate e cavernose e creando atmosfere lugubri dal sound primitivo e abissale, atte ad avvolgere l'ascoltatore nella sua spirale di oscurità e di abominio. "Hour of the Centaur", uscito il giorno di Natale sotto la Osmose Productions, riprende con la medesima forma e con lo stesso stile il percorso evolutivo alla ricerca del male primordiale insito in ognuno di noi dei suoi predecessori, dando vita ad un nuovo orripilante capitolo della diabolica saga degli Hate Forest. Le sonorità frastornanti dell'inquietante debutto "The Most Ancient Ones" sono lontane e ormai superate, sormontate da influssi melodici ed epici che ne ricalcano perfettamente l'aura sinistra ed orrorifica, rendendola ancor più surreale, e la ferocia del precedente "Sorrow" viene alternata a disarmanti rallentamenti in cui l'atmosfera si fa cupa e oppressiva. La voce di Saenko intraprende un'ulteriore progressione rispetto al passato, manifestandosi attraverso un profondo e catacombale growl dai richiami death/doom, la cui essenza inumana si sprigiona sopra le note pregne di oscurità come l'eco di un lontano abisso di orrore, che riemerge dalle tenebre dopo un lungo sonno. Le chitarre, a tratti basse e quasi impercettibili, disegnano malsane melodie ronzanti che stridono con fervore sul ferro rovente di una drum machine feroce e incalzante, che guida le fila di un'avanzata demoniaca verso l'ignoto pronta a devastare ogni positività e a nutrirsi di ogni anima timorosa che ne scorga il grido di battaglia, gemito dopo gemito.

L'album si apre con una appena accennata introduzione ambientale che spalanca le porte alla veemenza di "Those Who Worship the Sun Bring the Night", in cui la ferocia martellante della drum machine si unisce ad un riffing gelido e macabro, rallentando solo per partorire sonorità sperimentali disturbanti, che anticipano la cupa accelerazione finale dai tocchi ambient e noise. Altrettanto tetra e furiosa è "No Stronghold Can Withstand the Malice", dalle eco oscure e malefiche e dal riffing opprimente, mentre sul finale della successiva "To the North of Pontos Axeinos" (antico nome del Mar Nero) si scorgono sfumature epiche e melodiche, prodotte da chitarre definite ed armoniose, ma ugualmente oscure e sinistre. Il brano più lungo e riuscito della release è senz'altro "Anxiously They Sleep in Tumuli", che nei suoi oltre nove minuti di durata passa dal mid-tempo iniziale alla folle accelerazione centrale caratterizzata da chitarre affilate e da un growl cavernoso, per poi aprirsi alla cavalcata epica e maestosa della seconda parte, che in un progressivo crescendo melodico in black/doom dalle eco sinistre ed al contempo malinconiche accompagna l'ascoltatore verso frontiere inesplorate e inedite armonie nostalgiche, che scavano ancora più a fondo nell'abisso dell'anima tormentandola con un'ansia crescente e con un'angoscia senza fine. 

Il finale dell'album prosegue il viaggio misantropico tra le sfere più nichiliste della mente umana, tra accelerazioni costanti e sporadici mid-tempo e melodie ripetitive e disturbanti che riescono ad essere brillanti e spaventose, dando voce all'oscurità che dimora nei nostri pensieri più intimi e pregni di odio. L'ultima traccia "Shadowed by a Veil of Scythian Arrows" riprende una delle tematiche più care al progetto (base concettuale anche della già citata demo di debutto), ovvero le sue fiere radici sciite, spesso riprese citando i luoghi che i nomadi indoeuropei di ceppo iranico hanno cavalcato nel corso della loro storia, dalle steppe russo-ucraine alle sponde del Mar Nero passando per l'area mesopotamica e per i Balcani. Anche in questo gli Hate Forest si sono sempre collocati perfettamente nella scena est-europea, da sempre caratterizzata da un amore per le proprie radici espresso sia musicalmente che a livello tematico, che l'ha resa unica nel suo esasperato patriottismo (vedi i concittadini Nokturnal Mortum). "Hour of the Centaur" è un album che dona nuova vita alla musica di Roman Saenko nella sua forma più macabra e primitiva, scevra delle melodie e delle atmosfere progressive dei suoi altri progetti quali Drudkh e Windswept, perseguendo lo stesso fine misantropico e nichilista dei suoi predecessori. 

L'evoluzione musicale è resa evidente dalle accurate melodie realizzate, dalle sonorità epiche e dagli sporadici rallentamenti, ma permane quell'essenza minimalista e malvagia che è il cuore pulsante del progetto, nonchè lo strumento più adatto a definirne l'aura insana e disturbante. Orfano di uno dei suoi due fondatori, Hate Forest sembra destinato a continuare a dividere il suo pubblico, poichè del produrre ribrezzo e disgusto ancora fa il suo intento principale, e in un panorama black metal che si sta sempre più raffinando ed aggraziando non può che far piacere scovare qualcuno che ancora fedelmente si attenga allo spirito cacofonico ancestrale che è il fondamento di un genere che sta rapidamente abbandonando le proprie radici, riscoprendosi sempre più spoglio di ciò che un tempo l'ha partorito. 

Alessandro Pineschi 
Voto: 82/100

Tracklist:
1. Occidental, Beware the Steppe (Intro) 
2. Those Who Worship the Sun Bring the Night 
3. No Stronghold Can Withstand This Malice 
4. To the North of Pontos Axeinos 
5. Anxiously They Sleep in Tumuli 
6. Melanchlaeni 
7. Shadowed by a Veil of Scythian Arrows

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