ANGEL WITCH "Angel Witch" (Recensione)
(1980)
Parto subito citando la reclame di un noto amaro: “Sembrava impossibile, ma ce l'abbiamo fatta” Tutto torna, tutto perfettamente allineato. Da qualche mese mi trovo, con mio enorme piacere, ad avere la possibilità di recensire musica metal su queste pagine: non solo, ma nella perfetta coincidenza del quarantennale di un disco di livello assoluto e con la possibilità di mettere nero su bianco la mia risposta alla sempreverde domanda “Hellbanno, quale credi sia il disco Heavy Metal più sottovalutato della storia?” Non so quanto questo mio parere si avvicini all'effettiva realtà – magari ho vissuto sotto un sasso per tutti questi anni ed il mondo brulica di supporter di quest'opera – ma ho avuto sempre l'impressione che, al di là dei “soliti sospetti” in ambito Heavy Metal / NWOBHM (Judas, Iron, Sabbath etc etc) nessuno parlasse degli Angel Witch.
Nessuno, cosa che mi ha sempre fatto imbestialire, poiché il Sottoscritto considera il debutto auto-titolato della band inglese – datato Dicembre 1980, uscito su Bronze Records – come un diamante dimenticato dell'underground, colpevole forse ed unicamente di aver “perso il treno” giusto per qualche mese o di essere figlio di una band con qualche rimescolamento di formazione di troppo. Fatto sta che ci troviamo di fronte ad un capolavoro seminale del genere, senza se o ma: un disco asciutto, senza fronzoli, 39 minuti di Heavy Metal schietto e cristallino - venato qua e là, da qualche sfumatura ancora legata e certo psychedelic rock di epoca subito precedente – che regala momenti di innegabile unicità. Innegabile, come innegabili sono le influenze che la band pone in questo debutto, fra “Rising” e “Sad Wings of Destiny”, senza però mai cedere al citazionismo scellerato: più che complice di questo risultato, il timbro vocale (e chitarristico) del frontman Kevin Heybourne, voce che io considero come forte ispiratrice anche di tutta la corrente Heavy old-school a stelle e strisce, e dei suoi alfieri dello sword & sorcery in musica come Cirith Ungol e Manilla Road. Interessantissime dicotomie fra parti melodiche / dolci e riff serrati si alternano su “White Witch” e sulla superlativa “Sorceress” (su cui svetta un gioco di Hammond strepitoso), mentre la seconda faccia del LP (recensione in stile col periodo storico nd.r.) la scaletta va dritta come un treno, con la storica tripletta “Gorgon” - “Sweet Danger” - “Angel of Death”, inframezzata soltanto dalla commovente ballad “Free Man”. Menzione di gloria in chiusura di recensione alla titletrack del disco, inno dimenticato del genere che, in mano ad un gabinetto di marketing più arguto, avrebbe potuto sostituire nel folklore comune una qualsivoglia “Run to the Hills” senza battere ciglio.
E qui siamo giunti al dilemma, nonché a ricongiungerci alla testa della recensione: è veramente necessario che una band raggiunga una certa notorietà per essere riverita per i secoli futuri? In questo caso, no. Gli Angel Witch sono così, una sorta di Guardiano silenzioso di quello che sarà sempre il passaggio fra “underground” e “noto”, stelle assolute del genere in questione e della sua nicchia, mai riusciti a superare le barricate del mainstream con la “M” maiuscola. Tuttavia, specialmente in virtù di queste ultime parole, quale occasione migliore di quella odierna per festeggiare questa band ed il loro capolavoro, riscoprendone i fasti perduti e le gloriose eredità? P.S. Dalla reunion del 2012 ad oggi, gli Angel Witch hanno rilasciato altre due dischi strepitosi - “As Above, So Below” & “Angel of Light” n.d.r. - a dimostrazione che l'oro non arrugginisce mai... Riscoprire, conoscere, venerare.
Hellbanno (L.B.)
Voto: 100/100
1. Angel Witch
2. Atlantis
3. White Witch
4. Confused
5. Sorcerers
6. Gorgon
7. Sweet Danger
8. Free Man
9. Angel of Death
10. Devil's Tower
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