Vuoi qui il tuo annuncio? Scrivi a: hmmzine@libero.it

INQUISITION "Black Mass for a Mass Grave" (Recensione)


Full-Length, Agonia Records 
(2020) 

A quattro anni di distanza dall'eccellente "Bloodshed Across the Emptyrean Altar Beyond the Celestial Zenith" tornano sulla scena i veterani Inquisition con l'ottavo atteso lavoro sulla lunga distanza della loro carriera ormai trentennale, che ci ha regalato alcuni tra i più grandi capolavori della scena black metal d'oltreoceano. "Black Mass for a Mass Grave" è stato rilasciato il 20 novembre 2020 sotto la polacca Agonia Records e rappresenta l'ennesimo blasfemo capitolo della lunga discografia del duo di Seattle, fondato da Dagon nel lontano 1988 nella colombiana Valle del Cauca sotto il nome Guillotine prima del trasferimento negli Stati Uniti e dell'ingresso dello storico batterista Incubus; da allora i due hanno cominciato a sfornare album di altissimo livello, tra cui spiccano il debutto "Into the Infernal Regions of the Ancient Cult" e l'acclamatissimo "Invoking the Majestic Throne of Satan", mostrando il grande pregio di riuscire a dare a questi un più che degno sèguito nel confermarsi su standard elevati e modellando un sound che si è sempre più raffinato ed evoluto senza mai perdere la ferocia che lo contraddistingue, arricchendosi di linee di chitarra ben più virtuose e taglienti e di un cantato che almeno da qualche anno ha abbandonato l'inumana essenza rettililiana degli esordi, fiera rappresentante di una qualche diabolica entità malvagia, in favore di uno scream catacombale meno inusuale e più definito. 

La ricetta musicale così proposta ha continuato nel tempo a condensare un lavoro di batteria dalla velocità vertiginosa e dalla pesantezza estrema a chitarre gelide e graffianti e vocals funeree, sviluppando le consuete tematiche sataniche, luciferiane ed occulte tanto care al suo fondatore, che negli ultimi due lavori si sono unite a liriche di ricerca del mistero situato all'interno del mondo astrale, in quel cosmo a cui certe inedite sonorità presenti nel loro sound più recente sembrano condurre. La missione che gli Inquisition dovevano superare con questa ottava fatica era dare continuità alla spirale ascendente cominciata con il sorprendente "Ominous Doctrines of the Perpetual Mystical Macrocosm" e proseguita con i due successivi lavori, di cui hanno qui ripreso le liriche astrali affiancate ai sempre presenti salmodi satanici dell'oltretomba, ma non appena si odono le note di apertura della opener "Spirit of the Black Star", che seppur melodica si colloca sufficientemente all'interno dello stile classico del duo, si percepisce che qualcosa è cambiato. Il brano esordisce con un giro di chitarra estremamente pulito ed orecchiabile, per poi esplodere nella consueta ferocia blasfema con un blast beat di Incubus accompagnato dallo scream profondo e gutturale di Dagon e da un tocco melodico che si esaurisce nel successivo rallentamento e nell'accelerazione di metà canzone, in cui si inserisce un riff di chitarra gelido e oscuro che diviene presto un cupo assolo; un mid-tempo incalzante anticipa la sfuriata finale, conclusa con una rapida e affilata linea di chitarra che in chiusura riprende la melodia dell'introduzione. È l'illusione di assistere ad un nuovo lavoro tipico marchiato Inquisition, spezzata bruscamente dal secondo brano "Luciferian Rays", già pubblicato come singolo, in cui un cupo approccio black/doom si unisce ad un mid-tempo che non accelera mai, rimanendo ancorato ad una ritmica lenta a cui si aggiunge un inedito cantato in clean dai richiami viking, a modellare un ritornello estremamente prevedibile; seguono assoli melodici ai confini con l'heavy, rallentamenti estenuanti e cambi di tempo poco ispirati che lasciano la vana speranza di trovarsi di fronte ad un episodio più ricercato e interlocutorio dell'album, prima di una nuova sfuriata.

L'introduzione doom di "Necromancy Through a Buried Cosmos" frena subito gli entusiasmi, riprendend la melodia del brano precedente ed accompagnandola con uno scream gutturale fuori posto al quale subentra un assolo lento e malinconico dalle eco post-rock, la sui calda e spensierata eco si propaga fino alla fine. I sette minuti abbondanti di "Triumphant Cosmic Death" toccano lo sludge/doom, suonando cupi ma al contempo melodici, prima di regalare una boccata d'ossigeno con un improvviso martellamento da parte di Incubus che viene subito soffocata dall'ingresso di sognanti tastiere atmosferiche, finendo con un'accelerazione appena sufficiente il cui riffing virtuoso viene sfumato da cori onirici conclusivi. Il resto dell'album è un susseguirsi di melodie al confine col post-rock che si adagiano su di una ritmica doom, interrotte dall'episodio ambient dell'intermezzo "Ceremony for the Expanding Tomb", e che delle sfuriate a cui gli Inquisition ci hanno abituati non lascia che il nostalgico ricordo. Queste vengono riprese solo nella conclusiva "Beast of Creation and Master of Time", che mostra fin da subito la batteria finalmente lasciata correre e duettare brillantemente con la chitarra tagliente di Dagon, concendendosi solo un paio di rallentamenti che nulla tolgono al valore del pezzo; la breve outro nonchè title-track riprende le atmosfere ambient dell'intermezzo, suonando lugubre nelle note di pianoforte conclusive di un album che senza dubbio lascia allibito l'ascoltatore che sia anche solo minimamente stato introdotto al sound della band a stelle e strisce. "Black Mass for a Mass Grave", nonostante il titolo così consono ai dettami degli Inquisition, è lontano anni luce da quando Dagon e Incubus ci abbiano fatto sentire sin dai tempi del loro debutto, poichè non si può neppure etichettare con vero e proprio black metal: il riffing caldo e smielato, le sconcertanti tastiere sognanti, le influenze post-rock del sound, certe melodie virtuose che malissimo si legano con la brutalità della voce ed una ritmica che non sale mai di livello rendono gli oltre sessanta minuti di durata dell'album difficili da digerire per chiunque non si avvezzo a tali contaminazioni nel black metal. 

Ed anche chi lo è non può rimanere deluso dalla mancanza di coraggio dei due di Seattle, che se era loro intenzioni adottare sonorità così diverse dalle loro solite avrebbero reso molto di più componendo un album dichiaratamente post-black metal dalle liriche spaziali ed oniriche e non più blasfeme e in cui il cantato in clean fosse più presente e magari accompagnato da una soave voce femminile e la loro volontà di cambiare dunque più definita. Questi non sono gli Inquisition, almeno non per come abbiamo imparato a conoscerli, ma forse dopo quasi trent'anni di pura violenza blasfema sparata all'orecchio dell'ascoltatore a suon di martellamenti e di chitarre lancinanti è anche comprensibile un cambio di ingredienti, certo tuttavia non di queste proporzioni. 

Alessandro Pineschi 
Voto: 60/100

Tracklist:

1. Spirit of the Black Star 
2. Luciferian Rays 
3. Necromancy Through a Buried Cosmos 
4. Triumphant Cosmic Death 
5. My Spirit Shall Join a Constellation of Swords 
6. Ceremony for the Gathering of Death 
7. Majesty of the Expanding Tomb 
8. A Glorious Shadow from Fire and Ashes 
9. Extinction of Darkness and Light
10. Hymn to the Absolute Majesty of Darkness and Fire
11. Beast of Creation and Master of Time
12. Black Mass for a Mass Grave

WEBLINKS:
Facebook
Official website
Spotify

Nessun commento