Vuoi qui il tuo annuncio? Scrivi a: hmmzine@libero.it

AKHLYS "Merinoë" (Recensione)


Full-Length, Debemur Morti Productions 
(2020) 

Dalle sfere più abissali del subconscio, laddove la psiche genera visioni spaventose nelle tenebre della notte ridestando dal torpore gli spettri più inquietanti che abitano lo strato più profondo dell'anima, ha origine Akhlys, side-project di Naas Alcameth (già cantante e polistrumentista dei Nightbringer e dei Bestia Arcana), che in questa veste si fa narratore dei suoi stessi incubi dando voce ai propri demoni interiori e forma ai propri deliri notturni. Il progetto, composto anche dal batterista Ain, prende forma nel 2009 nei pressi delle cascate della Green Mountain, nella parte settentrionale del Colorado, e propone un dark ambient claustrofobico dalle atmosfere oppressive che sembra raccontare la follia della mente umana in un crescendo di angoscia e di paraonia, che trova nell'ottimo debutto "Supplication" una riuscitissima espressione. Il nome della band rimanda alla terrificante divinità della mitologia greca Acli, personificazione della tristezza e della disperazione ed incarnazione della notte eterna che precede il caos, raffigurata come un'anziana donna estremamente magra e pallida, dalla guance insanguinate e dalla corporatura cadaverica; costei è la dea dei veleni, rappresentante della nebbia funebre che si mostra nel suo aspetto orripilante a coloro che sono prossimi alla morte, comparendo nei loro incubi come segno di presagio nefasto. 

Nel 2015 viene rilasciato il secondo lavoro "The Dreaming I", superbo rappresentante del black metal moderno più oscuro e disturbante, che riprende la componente ambient dell'esordio plasmandola con una ferocia ai limiti dell'inverosimile e facendosi colonna sonora del terrore notturno più angosciante, attraverso la narrazione di visioni oniriche raccapriccianti di creature immonde e infiniti abissi di vuoto cosmico. Tre anni più tardi entrano a far parte del progetto in un colpo solo i chitarristi Nox Corvus (coofondatore dei già citati Nightbringer insieme allo stesso Alcameth) e Josh Perrin, il bassista Cody J. Tyler ed Eoghan, che prende il posto ad Ain dietro le pelli; con questa nuova formazione esce il terzo lavoro "Merinoë", rilasciato sotto la francese Debemur Morti Productions, che prosegue la catena orrorifica del progetto evolvendone il sound verso melodie ancor più disturbanti, talvolta al confine con l'industrial, che si inseriscono all'interno di una ragnatela di blast-beat e accelerazioni veementi che si placano solo laddove rifioriscono le atmosfere claustrofobiche degli esordi. La nuova formula da cinque elementi rende le linee musicali ben più massicce e definite, generando una muraglia musicale ipnotica che fonde ogni strumento con estrema precisione, riuscendo tuttavia ad opprimere l'ascoltatore con sonorità caotiche e indefinite che sembrano provenire da tenebrosi mondi sotterranei, a cavallo tra la realtà e gli abissi spaventosi dell'inconscio. Il sound è ansiogeno, per lunghi tratti onirico al limite del sopportabile, e giunge all'orecchio oscuro e terrificante in ogni sua nota e in ogni suo lamento, guidato da una batteria furente, da chitarre gelide e taglienti che cavalcano atmosfere invalidanti e da uno scream demoniaco acutissimo, impietoso narratore delle ombre più spaventose dell'anima.

Il titolo dell'album attinge nuovamente alla mitologia greca, in cui Merinoë compare in qualità di ninfa e di divinità ctonia, appartenente al mondo sotterraneo, figlia della regina dell'oltretomba Persefone e con padri Zeus e Ade. Si tratta di una dea lunare portatrice di incubi che appare nelle visioni notturne in forme vaghe e indefinite, trascinando il sognatore nella follia e investendolo del più angosciante terrore; la troviamo raffigurata nella copertina, in una modalità simile a quella che ritraeva Acli nel precedente lavoro, dai contorni offuscati e spaventosi e definita all'interno di una luna accesa per metà, a riprodurne l'origine astrale. L'album si presenta con la fragorosa "Somniloquy", che dopo una breve introduzione ambient spalanca le porte alla violenza della batteria di Eoghan, accompagnata da un muro di chitarre dalle eco industrial e da uno scream lancinante che tengono per tutti gli oltre otto minuti e mezzo di durata del brano un ritmo infernale che rallenta solo nel refrain corale, le cui voci sembrano giungere da un modo lontano e indefinito e perfettamente si condensano con i suoni disturbanti che si odono in sottofondo, a generare angosce paranoidi. "Pnigalion", nei suoi quasi tredici minuti di durata, trascina invece l'ascoltatore in una dimensione totalmente diversa, a renderlo vittima stessa della paralisi del sonno che racconta e spettatore degli incubi di cui si fa portavoce, esordendo con una lunga discesa negli abissi dell'anima attraverso un claustrofobico dark ambient su cui si ergono voci demoniache sussurrate in un'atmosfera pregna di terrore a dir poco surreale, prima che un opprimente black/doom scandito da chitarre gelide e distorte anticipi la diabolica accelerazione in blast-beat successiva, annunciata da un lungo grido demoniaco e da sonorità cupe e disturbanti; chitarre affilate, una batteria devastante e le urla malate di Naas Alcameth conducono al rallentamento ipnotico di metà canzone, accompagnato da un'atmosfera onirica e da una voce catacombale, ad anticipare una nuova violenza in cui le melodie si fanno lugubri e la componente industrial suona tetra e sinistra, fino al tocco sperimentale del finale che dona al brano un'ancor più marcata essenza astrattiva. L'atmosfera si fa nuovamente ipnotica e penetrante nel puro dark ambient di "Succubare", scandito da una voce profonda infernale e da suoni distorti che proiettano verso la successiva "Ephialtes", dedicata al pastore greco Efialte di Trachis, traditore degli Spartani nella Battaglia delle Termopili contro i Persiani, in assoluto il brano più industrial della release; il blast-beat qui si fonde perfettamente con un growl profondissimo e con chitarre disturbanti fino all'illusoria quiete black/doom di metà canzone, dalle melodie assai distorte e raggelanti, fino ad un finale industrial dalle sonorità sperimentali e dallo sceam infernale alquanto orrorifico. 

Chiudono il lavoro i formidabili dieci minuti di "Incubatio", brano dall'essenza occulta ispirato all'antica pratica magico-religiosa dell'incubazione, in cui attraverso il sonno si ottenevano sogni premonitori e che era assai diffuso nel culto dell'Antica Grecia di Asclepio, figura spesso invocata dai negromanti per la sua capacità di riportare in vita i morti. Il brano si apre con una lunga introduzione ambient in cui tastiere lugubri partoriscono in un crescendo di pathos un'essenza di puro terrore ad anticipare l'esplosione in blast-beat su cui si poggiano gelide chitarre lente e atmosferiche, dalle melodie intense e ipnotiche che proseguono man a mano che la velocità raggiunge picchi insormontabili, accompagnate di nuovo da sonorità industrial. Le tastiere cupe del finale si adagiano verso un progressivo rallentamento in cui l'atmosfera si fa sognante e cupa, quasi tragica, dalle lontane eco indefinite che conducono l'ascoltatore alla fine dell'incubo, le cui ombre sono destinate a rimanere in eterno negli abissi del subconscio, pronte per essere presto risvegliate. 

Alessandro Pineschi 
Voto: 89/100

Tracklist:
1. Somniloquy 
2. Pnigalion  
3. Succubare 
4. Ephialtes 
5. Incubatio

WEBLINKS:
Bandcamp
Facebook
Instagram
Spotify

Nessun commento