MOTÖRHEAD "Motörhead" (Recensione)
Full-length, Chiswick
(1977)
Avevamo lasciato i Motorhead tra le mani guantate della United Artists, una label che sicuramente non aveva colto appieno il potenziale di Lemmy e soci; in più, aggiungiamo che nei primi giorni dei Motorhead l'eredità dell'allora band madre Hawkwind era ancora forte (sia in termini di repertorio che di attitudine psych/rock) e il quadro di una band dagli inizi interlocutori sarà completo, come testimoniato dal fatto che il disco di debutto sarà pubblicato dalla label statunitense solo dopo l'esplosione del trio britannico con i dischi successivi.
In ogni caso, la formazione aveva già visto un importante rimaneggiamento nell'avvicendamento tra il primo drummer Lucas Fox e Phil Taylor, allora autista della band, con il futuro Philty “Animal” che porterà uno stile roboante e al passo coi tempi, che sarà fonte di ispirazione per svariate orde di batteristi a venire. Oltre a ciò, il baffuto Taylor favorirà l'ingresso in formazione di un secondo chitarrista, Eddie Clarke, che assumerà il nomignolo “Fast” avendone ben donde, dato il suo stile torrenziale che pescava a piene mani dal blues e dal rock'n'roll, pur reinserendolo in un contesto del tutto nuovo... Motorhead, appunto! Con l'abbandono di Wallis nacque così la formazione classica della band, che si trovò immediatamente ad affrontare una sfida relativa alla sua stessa sopravvivenza: registrare un nuovo disco in due giorni per prevenire un possibile scioglimento dovuto allo scarso successo fino ad allora riscontrato. Fu il boss della Chiswick Ted Carroll a credere in loro, dopo quello che doveva essere il loro ultimo concerto al Marquee di Londra. Il disco? Fu realizzato ri-registrando il materiale già utilizzato nella precedente session, stavolta però con un piglio diverso: via una parte consistente delle suggestioni psichedeliche di retaggio Hawkwind, spazio a una nuova interpretazione del rock'n'roll e soprattutto al tocco personale di “Fast” e “Animal”, che trasformerà “Motorhead” e un'irrobustita “Iron Horse/Born To Lose” in due classici immortali che beneficeranno oltremodo delle nuove versioni, in attesa della forma definitiva che assumeranno su “No Sleep 'til Hammersmith”.
Come poi tacere della carica punk assunta da “Vibrator” in questa veste rinnovata, o del drumming verace e sanguinario di Philty su “Lost Johnny”? In più, brani come “City Kids” e “On Parole” verranno registrati nella stessa session ma tenuti in caldo fino all'uscita dell'EP “Beer Drinkers and Hell Raisers” (eh sì, contiene proprio la cover degli ZZ Top!) e delle varie reissue in CD. Oltre ai remake, sono due le nuove song inserite in tracklist: l'iconica “White Line Fever” (paradossalmente il pezzo più psichedelico del lotto, almeno dal punto di vista delle linee vocali) e la massiccia “Keep us on the Road”, che schiera uno dei tanti assoli di basso con cui ci delizierà Lemmy nel corso della sua sconfinata discografia. Un disco davvero seminale, quest'omonimo dei Motorhead, che anticipa i fasti della “sacra triade” di lavori a seguire dando voce a quella stessa formazione che sarà responsabile del loro rilascio. In più, in copertina troveremo per la prima volta il mitico Snaggletooth, che ci accompagnerà nei decenni a venire...
Francesco “schwarzfranz” Faniello
Voto: 90/100
1. Motörhead (Hawkwind cover)
2. Vibrator
3. Lost Johnny (Hawkwind cover)
4. Iron Horse / Born to Lose
5. White Line Fever
6. Keep Us on the Road
7. The Watcher (Hawkwind cover)
8. The Train Kept a-Rollin' (Tiny Bradshaw cover)
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