MALUS VOTUM "Tradition" (Recensione)
Full-length, Independent
(2020)
Il Black Metal è il mio genere prediletto, inutile nascondersi: da almeno 10 anni a questa parte, e specialmente negli ultimi 5, ne sono avidissimo consumatore e fedelissimo seguace e praticante. Quindi, qualora mi esaltassi per delle inezie musicali legate a TRADITION, debutto discografico dei MALUS VOTUM, duo Black Metal made in USA, non curatevi di me, ma guardate e passate oltre...
Al di là di semi-citazioni colte senza senso, inizio la recensione vera e propria con un parere piuttosto chiaro; considero quasi tutte le incursioni in territorio Statunitense del Black Metal come di scarsissima qualità. Senza addolcirvi la pillola, vedo il concetto di Black Metal (e tutto quello da cui è nato / tutto quello che rappresenti) come diametralmente opposto a ciò che possa nascere in ambito metal estremo nella land of the free a stelle e strisce. Immaginerete dunque la mia trepidazione nel poter recensire un disco che ricada sotto la dicitura di USBM per poterlo dilaniare e fare a pezzi come un branco d'avvoltoi con una carcassa... finendo poi per sentirsi uno scemo colossale per giudicato erroneamente un disco che invece picchia, e pure duro.
Pochi pezzi - 4 in tutto per circa 35 minuti di riproduzione totale – ma perfettamente assemblati, che scorrono sapientemente solcando un disco che solo apparentemente sembra ricadere nel canone del “lo-fi a tutti costi” tipico di certe proposte del genere. Andando furbescamente a spizzicare ora un po' dai Watain (specialmente quelli del debutto) dopo un altro po' dalla ditta Sargeist / Horna / Satanic Warmaster, i MALUS VOTUM mettono insieme un lavoro di estrema coerenza stilistica e musicale, per quanto allo stesso tempo costellato di sfaccettature interessanti che arricchiscono l'ascolto ad ogni ripetizione. Bellissima sensazione, ad esempio, quella di farsi prendere dall'andamento ridondante di Prince of the Culling Tide – che a parere di chi scrive, si porta a casa il premio assegnato al miglior pezzo del disco – per poi gustarsi una sorta di solo / sweep-picking / riff addizionale che va a ingolosirne il finale, anche se solo per un minuto o poco più prima dell'epilogo del pezzo. Unici punti negativi da notare del lavoro, il pezzo Ritual of Cessation of Forms - discreto, ma senza dubbio il meno ispirato del disco - e una performance vocale piuttosto canonica.
Questo è probabilmente l'unico vero tallone d'Achille di questo full-lenght, che nei momenti in cui potrebbe decollare davvero, è sempre trattenuto a terra da un cantato che - per quanto non abbia influenzato il mio giudizio più di tanto – manca di quel tocco di eclettismo che invece troviamo ben disposto nelle parti musicali di tutto il disco, come precedentemente lodato. In conclusione debutto inaspettatamente maiuscolo, che suscita già una “fame” niente male per il prossimo lavoro del duo del New Hampshire. A chi come me diffidava di certe proposte musicali di oltre oceano un consiglio spassionato: buttate gli UADA e ascoltatevi / compratevi “TRADITION”... risultato garantito.
Recensione a cura di L.B. (Hellbanno)
85/100
1. The Feast on the Mountain
2. Prince of the Culling Tide
3. Ritual of Cessation of Forms
4. Wolf Age
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Bandcamp
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