PARADISE LOST "Obsidian" (Recensione)
Full-length, Nuclear Blast
(2020)
Parte 1 L’emozione di un primo ascolto
Ad ogni nuova uscita in studio dei Paradise Lost, ho l’abitudine di andare a riascoltare gli album che l’hanno immediatamente preceduto e poi procedo con l’ascolto di tutta, o quasi, la loro discografia. E’ vero, sono un fan della band. Da tanto tempo. Ed ogni volta che è in uscita un nuovo album, evitando accuratamente gli ascolti delle canzoni che precedono la pubblicazione, lo acquisto a scatola chiusa, con la speranza, ed in parte la convinzione, che non mi deluderà. Quindi non vi nascondo che questo per me è un ascolto importante, un ascolto vecchio stile, un ascolto volto a provocare delle sensazioni, delle emozioni, già prima di ascoltare una singola nota. E quando il vinile comincia a girare, come sempre, vengo travolto da un insieme di sensazioni che faccio fatica a esternare, ma vi assicuro che sono sensazioni molto piacevoli, anzi fa parte di quel novero di sensazioni definibili come uniche. E’ un rituale a tutti gli effetti. Un rituale che dedico a poche, selezionate band, quelle band che per me significano qualcosa. Come dicevo sono un fan della band, ma soprattutto sono un amante della musica, e questa mi deve piacere. E vi assicuro che essere un fan è un’arma letale, soprattutto quando si pretendono standard alti e qualità elevate dalla band. Un abbassamento degli standard potrebbe essere non perdonabile, e la falce della morte potrebbe mietere vittime. E’ quello che è successo per un’altra band che ho amato follemente, gli Opeth. Loro non hanno mantenuto la magia che li ha contraddistinti fino ad un certo punto della loro storia. E non si tratta di non essere più death metal, di cantare growl oppure no, la qualità della musica è scesa, ma la cosa più grave, gli Opeth sono diventati un gruppo ordinario, nella loro musica si è perso quell’alone di magia che rendeva le loro produzioni eccelse, i loro album delle perle di rara bellezza. Gli Opeth non sono più una band unica, travolti dagli atteggiamenti di divinazione del suo leader. I Paradise Lost, dopo essersi in parte persi tra la fine degli anni novanta ed i primi del nuovo millennio, abbagliati dalla possibilità di arrivare alle masse, hanno ritrovato la luce. Da In Requiem in poi è stato un progredire di album di qualità altissima. Non starò a dire se c’è stato un album migliore, quando abbiamo standard così alti, è difficile poter scegliere. Sicuramente tra quelli prodotti Medusa è stato il più coraggioso, un monolite dai colori e dalla forma di un diamante. Impenetrabile. E dopo un album come il precedente, figlia a sua volta di un percorso di indurimento del sound, dove ci avrebbe potuto portare il passo successivo? Sarà un album all’altezza dei precedenti? Nella seconda parte proverò a rispondere a questa domanda e vi parlerò di Obsidian.
Parte 2 Obsidian: un altro passo avanti
Dopo quell’impenetrabile capolavoro del 2017 dal nome Medusa, quale strada avrebbero mai potuto percorrere i Paradise Lost, loro che non si sono mai fermati, ma hanno da sempre provato a progredire come musicisti e come compositori? La risposta è in Obsidian, un album che prosegue il cammino di questa incredibile band. Abbandonato in parte quel muro sonoro, che era stato il precedente lavoro, di cui si avverte comunque la presenza nei momenti più pesanti, i Paradise Lost provano a riabbracciare tutte le sonorità che, da In requiem, sono state prodotte in un percorso incredibile che non ha avuto finora passi falsi. Addirittura si sentono echi lontani provenire da quegli album di rottura che furono One Second, ma soprattutto Host (Ending Days). Obsidian raccoglie tutte le influenze della band, ma non con un suono nostalgico o stanco, no, questo è un album che per l’ennesima volta è stato baciato dalla dea dell’ispirazione e che raccoglie nove canzoni tutte di altissimo livello. Le tracce sono undici se si prende a riferimento l’edizione limitata, e le due tracce bonus non sono affatto riempitivi, ma concludono in modo autorevole un album di una qualità eccelsa. Gli artefici sono sempre loro, il chitarrista Greg Mackintosh compositore dell’intera discografia della band e Nick Holmes, che ha da sempre caratterizzato con la sua voce la musica della band. Scendendo nel dettaglio dell’album non posso non citare tutte le tracce presenti, perché ognuna merita di essere descritta. Si parte con “Darker Thoughts” miglior canzone del lotto. Inizia come un brano acustico, una melodia di violino e quella voce che è un’oscura carezza, per esplodere poi in un muro di suono. La parte vocale, eccelsa, innalza il brano a livelli altissimi. Ci troviamo di fronte ad uno dei migliori brani scritti dalla band nella sua lunga carriera. Una canzone che nelle sue caratteristiche potrebbe essere un indizio per i futuri lavori. “Fall From Grace” è un perfetto esempio di come la band maneggia il suo stile, spaziando da atmosfere cupe del recente Medusa per sfociare in momenti che riportano ai novanta. La continua alternanza di stili vocali, accompagnato da un riffing vario ed una base ritmica dinamica, mai come in questo disco, rende il lavoro eterogeneo, ogni brano vive di luce propria. “Ghost” è la classica canzone a cui ci hanno abituato, in uno stile molto Paradise Lost. La differenza la fa la qualità della proposta. Alta. Ascoltando queste canzoni, sembra tutto molto semplice, eppure mantenere questi standard così elevati è solo per pochi gruppi, che possiamo definire calcisticamente, fuoriclasse. “The Devil Embraced” è il brano più lungo e ci avvolge nelle sue note malinconiche, prima che la cupezza della distorsione e del growl facciano da contraltare. Il brano segue efficacemente lo schema della prima canzone, rivelando altre sfumature di uno stile definito ed unico. Incredibile come Nick Holmes riesca a cantare col growl linee vocali di rara bellezza ed efficacia. “Forsaken” ci conduce a quelle coordinate anni novanta alla Draconian Times, ma con un suono moderno ed una consapevolezza diversa, la quale si avverte negli arrangiamenti e nelle intenzioni espresse. Questo è uno di quei brani in cui Holmes non fa uso di growl, ma si esprime con una tonalità profonda. “Serenity” di contro è cantata tutta in growl, ed anche se è uno dei pezzi più veloci, per la sua atmosfera, ricorda da vicino i due precedenti lavori. “Ending Days” ci regala uno dei momenti più “leggeri”, ma che sa provocare emozioni, una ballad che ci riporta, per sonorità, a quegli album meno apprezzati della band. Qui Mackintosh si concede un lungo ed ispirato solos. “Hope Dies Young” sin dal primo ascolto mi ha fatto pensare ai Moonspell, sia per il modo di cantare, sia per la musica ed i suoi arrangiamenti. E non è un delitto. Le due band hanno avuto una storia a tratti comune nelle loro evoluzioni musicali. Un brano profondamente gotico. “Ravenghost” chiude l’album con un suono lugubre, a tratti horror, è il brano più doom e rimanda molto da vicino a Medusa. E adesso c’è spazio anche per le due bonus tracks. “Hear The Night” è il classico brano doom, dal growl profondo, i suoni cupi, le classiche linee di chitarra ad armonizzare il riffing, a cui si contrappongono le efficaci linee vocali pulite. Lento, ossessivo, oscuro. “Defiler” altro brano che rimanda allo stile classico della band, con un cantato caustico nel suo incedere, chiude degnamente Obsidian. E quando le bonus sono del livello della tracklist ufficiale significa che ci troviamo di fronte ad una band che ha ancora molto da dire. Una parola sulla produzione di Arellano: perfetta. Concludo con una riflessione. Mutare pelle restando sempre se stessi, provare nuove soluzioni restando ancorati sempre al proprio stile, tenere sempre salda la propria identità musicale, continuare ad avere voglia di scrivere musica, per il piacere e l’esigenza di farlo, per compiacere innanzitutto se stessi, ecco, questi oggi sono i Paradise Lost.
Recensione a cura di John Preck
Voto: 95/100
2. Fall from Grace
3. Ghosts
4. The Devil Embraced
5. Forsaken
6. Serenity
7. Ending Days
8. Hope Dies Young
9. Ravenghast
10. Hear the Night
11. Defiler
WEBLINKS:
Bandcamp
Homepage
YouTube
recensione bellissima, complimenti preck! bravo, bravo, bravo!
RispondiEliminaGrazie a nome di tutta la redazione!
Elimina