RAMNSTEIN "Ramnstein" (Recensione)
Full-length, Universal
(2019)
Come una farfalla colorata preistorica intrappolata nell'ambra, i Rammstein sono fermi, immobili ed intonsi, a quel lontano “Reise Reise” di quindici anni fa. Dopo di che, solo lavori che magari saranno anche piaciuti, sì, ma obiettivamente poco significativi. Non mi interessa nemmeno più di tanto stare a calcolare se “Rosenrot” o “Liebe ist fur alle da” fossero migliori, peggiori, o di quanto. La faccenda è che, alla fine, questo nuovo lavoro omonimo non spacca i culi.
Non è facile pompare sempre alla grande con un formato musicale come quello del sestetto tedesco. Come tutte le bands che seguono in maniera più o meno pedissequa la forma canzone, puoi rigirare la minestra quanto vuoi, aggiungere questa o quella spezia, cambiare le carte in tavola, stravolgere gli arrangiamenti e così via dicendo, ma se non trovi il riff che si stampa nella testa od il ritornello vincente (o tutti e due assieme, che è meglio), il pezzo non decollerà mai veramente. Praticamente non ci sono mezze misure, non è tiro con l'arco ma tiro al piattello: o lo prendi, o no.
In Rammstein – un disco che, nell'insieme, appare un po' spompato, a vantaggio comunque di una certa raffinatezza compositiva – colpiscono il centro quattro volte: con i due pluritrasmessi singoli, “Deutschland” (specialmente) e “Radio”, con “Zeig dich” e con “Weit weg”. Poi basta: e poco importa se il bersaglio sia stato mancato di molto (“Puppe”) o di poco (“Tattoo”), perché tanto si tratta di pezzi che, alla fine, non andremo comunque a riascoltare più di tanto. Il che mi dispiace molto, perché i Rammstein sono e rimangono comunque una band fondamentale, il gruppo che più di ogni altro ha saputo incarnare l'intransigenza sonora e concettuale e farla popolare, che ha elevato senza paura lo scandaloso a livello di canale prediletto di espressione.
Come accennavo prima, i Rammstein rimangono comunque abbastanza sofisticati nella loro capacità di mischiare le carte, di alternare chitarroni rabbiosi a flebili sussurri, partiture schiettamente epiche a beat di carattere danzereccio; capaci di costruire impalcature sonore lineari ma comunque mai veramente banali o già sentite. Quello che esce fuori però è un album un po' troppo cerebrale e sterile, in cui si aspetta e si aspetta ma in definitiva si gira a vuoto. Un po' come in questa recensione: puoi spandere inchiostro quanto vuoi, ma la sintesi che conta è che mancano i riff ed i ritornelli.
E questo è.
Recensione di Fulvio Ermete
Voto: 65/100
Tracklist:
1. Deutschland – 5:23
2. Radio – 4:37
3. Zeig dich – 4:15
4. Ausländer – 3:51
5. Sex – 3:56
6. Puppe – 4:33
7. Was ich liebe – 4:29
8. Diamant – 2:34
9. Weit weg – 4:20
10. Tattoo – 4:11
11.Hallomann – 4:11
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