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SLEEP “The Sciences” (Recensione)


Full-length, Third Man Records 
(2018) 

Dare un seguito al leggendario “Dopesmoker": bella gatta da pelare devono aver pensato, almeno per un secondo, gli Sleep. E il bello è che per più di un decennio non se n'erano dovuti minimamente preoccupare, giacché al rifiuto di pubblicare quel disco della London Records, più di vent'anni fa, era seguito lo scioglimento del gruppo. Poi sappiamo come andò a finire: prima la pubblicazione in sordina della versione tagliata intitolata “Jerusalem", seguita dall'uscita ufficiale di “Dopesmoker" così come era stato concepito, poi la riedizione con l'iconica copertina desertica e la tanto attesa reunion. 

Ritorno ovviamente in pompa magna, considerando lo stato ormai raggiunto da quel lavoro pazzesco costituito da un unico pezzo della durata di un'ora, coronato da live leggendari tra cui quello da headliner al Roadburn. Data l'enorme richiesta, i Nostri si son trovati costretti a pensarci seriamente a questo successore e quindi a registrarlo e pubblicarlo; ed eccoci a questo “The Sciences”; preceduto in verità dal singolo “The Clarity" di qualche anno fa, accolto anch'esso dagli osanna dei fan. Come hanno risolto il dilemma gli Sleep? Facendo un album che più Sleep di così era impossibile farlo, e forse senza nemmeno sforzarsi troppo: molti infatti hanno già storto il naso. Ma ai fan degli Sleep non può che andare bene così, perché “The Sciences" non è una parodia, una caricatura dei tempi che furono; no, è un puro concentrato di Sleep al 100%. 

Si parte con la classica intro hendrixiana che dà il titolo all'album – scontata, ma mai quanto certe cose sinfoniche che capita di sentire ogni tanto – poi assolo di bong e si inizia sul serio con “The Marijuanaut's Theme”, il pezzo che tutti stavamo aspettando e che rende giustizia alla lunga attesa: mastodontico, ultrasonico, avvolgente, metafisico; e si è subito catapultati in un'altra dimensione, in un deserto siderale a milioni di anni luce e a innumerevoli eoni di distanza nello spazio e nel tempo. Magnifica. Tocca poi al pezzo più sabbathiano del lotto, “Sonic Titan”, ma attenzione, i Black Sabbath non sono mai stati così potenti, pesanti e ipnotici, nemmeno su “Master Of Reality", il disco che ha dato il la a tutto questo filone musicale. È poi la volta di “Antarctian Thawed” forse la traccia più psichedelica tra quelle presenti su “The Sciences", di sicuro uno dei punti più alti del disco. Si passa a “Giza Butler", col suo pirotecnico finale, ed è il caso di spendere due parole sui testi: i Nostri si sono inventati uno scenario mitologico quasi religioso pregno di riferimenti ai Black Sabbath, in questo caso ad esempio si tirano in ballo Geezer Butler e Tony Iommi (e pure Dune): ciò non può che rendere il tutto ancora più assurdo, quindi - anche in questo caso - applausi. Chiude la strumentale “The Botanist", che altro non è che un lungo e ispiratissimo assolo di chitarra: Pikedelica! Al Cisneros risulta profondamente influenzato dall’esperienza degli OM, benché i semi di tale sua evoluzione fossero già presenti in “Dopesmoker"; mentre Chris Hakius è sostituito egregiamente da Jason Roeder dei Neurosis (Justin Marler, come si sa, si era ritirato a vita monastica già dopo Volume One, trasformando di fatto gli Sleep in un power trio). 

Giunge allora il momento del domandone finale: nel panorama ultra affollato e monolitico del doom contemporaneo, c'era bisogno dell'ennesimo disco dall' impostazione classica a dagli immancabili riferimenti ai padrini di Birmingham? Sì, perché gli Sleep sono dei capiscuola e si sentiva la loro mancanza. Sì, perché, tirando le somme, su questo disco ci sono sei piccole “Dopesmoker" asciugate, rielaborate e integrate con una puntina di stoner doom alla “Holy Mountain”, mentre l'approccio grezzo dei primi due lavori viene lasciato alle spalle; quindi in fin dei conti siamo di fronte a qualcosa di nuovo per i californiani. Sì, perché è di gran lunga il loro disco suonato e registrato meglio. Sì, perché la classe degli Sleep, l'incredibile intesa fra Matt Pike e Al Cisneros e il suono unico dei loro strumenti, sono, per l'orecchio smaliziato, riconoscibili tra un milione di band. Maestri. 

Recensione a cura di: Alessandro Attori
Voto: 85/100 

Tracklist:1. The Sciences 03:03 instrumental
2. Marijuanaut's Theme 06:39
3. Sonic Titan 12:26
4. Giza Butler 10:02
5. Antarcticans Thawed 14:23
6. The Botanist 06:27 instrumental

DURATA TOTALE: 53:00

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