MANOWAR "The Final Battle I" (Recensione)
Nuclear Blast Records
(2019)
Tutto si perdona ad un artista che scrive grande musica. Non c'è pazzia o stupidaggine che un pubblico adorante non possa relegare nei più reconditi anfratti della memoria, o costringersi a fraintendere contro ogni evidenza. Quando ho conosciuto i Manowar, a metà degli anni Novanta, loro erano già noti per i comportamenti sopra le righe ed oggettivamente ridicoli, nonché per le dichiarazioni di intenti assolutamente oscurantiste; ma non avevano sbagliato un album su sette, davvero uno migliore dell'altro, e tutto il resto non contava, nemmeno per me. Oddio, forse una certa flessione qualitativa c'era stata, ma si trattava davvero di spiccioli, e i loro dischi macinavano senza nemmeno essere troppo simili tra di loro; sì, anche il discusso “The Triumph Of Steel” era stato un grandissimo disco, magari proprio grazie all'ingresso di sangue fresco nella band. Ma da “Louder than hell” in poi hanno cominciato a scendere una bruttissima china, passando da album solo discreti a solenni merdate con una spietatezza impressionante. Quasi che più tempo passasse tra un lavoro e l'altro, più i loro dischi diventassero legnosi e privi di ispirazione.
Avrete probabilmente già compreso che questo”The final Battle Ep”, primo di una serie che speriamo non sia troppo lunga, non fa eccezione a questa triste regola di metà carriera. I due nuovi arrivati - l'ex hammerfall alla batteria ed un pischello qualsiasi alla chitarra – che influenza volete che abbiano avuto, é già tanto se hanno suonato veramente loro sul disco. E non spendo una parola su testi, copertine ed ammennicoli vari, che tanto si è capito che quella di riciclare tutto è davvero una mossa intenzionale.
Che ti troviamo? Nell'ordine: una intro wagneriana (non che abbia molto senso che in un Ep di quattro pezzi uno sia un'intro, ma vabbeh); un mid tempo con un riff molto accattivante ed un ritornello nella media; una power ballad con atmosfere abbastanza riuscite, il classico strofa melliflua e ritornello distorto che, a conti fatti, risulta la cosa migliore scritta in questa sede (ed uno dei banchi di prova in cui i Manowar non falliscono mai del tutto); una porcheria slegata in quattro quarti cantata (?) da un insulso De Maio, insignificante anche al basso, che credo non abbia altra funzione se non quella di dimostrare che i die hard fan della band di NY sono capaci di farsi piacere pure lo sterco.
Davvero un po' pochino per chi, trenta anni fa, era davvero “il re del metal”, e che nei primi anni ottanta ha saputo traghettare il genere dall'heavy/doom dei Settanta all'epic puro e semplice...e per tornare all'inizio: cosa si perdona ad un artista che non ne imbrocca più una da decenni a questa parte?
Recensione a cura di: Fulvio Ermete
Voto: 55/100
1. March of the Heroes into Valhalla 02:39 instrumental
2. Blood and Steel 04:42
3. Sword of the Highlands 05:59
4. You Shall Die Before I Die 06:08
DURATA TOTALE: 19:28
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