HIGH ON FIRE “Electric Messiah” (Recensione)
Full-length, eOne Music
(2018)
Con l'ottavo disco della carriera la premiata ditta High On Fire si aggiudica il suo primo Grammy, per la precisione nella categoria “Best Metal Performance" per la title track “Electric Messiah”, dedicata al mai troppo compianto Lemmy Kilminster, battendo una concorrenza di gruppi infinitamente più orecchiabili, leggeri e radiofonici, quali, ad esempio, i Trivium. Matt Pike, l'anti guitar hero per eccellenza, sale sul palco munito di bastone col quale s'accompagna dopo i ben noti problemi di salute, ringrazia e porta a casa, ma non risparmia una frecciatina all'Academy, che lo premia solamente dopo venti e passa anni di onorato servizio.
Già questo basterebbe a rendere il tutto estremamente epico, metallico e esaustivo, ma c'è molto altro che vale la pena mettere nero su bianco. Come spesso accade, il premio non arriva per il lavoro più bello, ma questo Electric Messiah ha diverse frecce al proprio arco. Innanzitutto è un disco devastante, e di band che più invecchiano, più spaccano non ce n’è mai abbastanza. In verità le coordinate stilistiche non si discostano poi di molto dal precedente, acclamato, Luminiferous; ma un riffing leggermente più controllato, una sezione ritmica sempre più chirurgica e una produzione un po' più lucida ad opera del solito Kurt Ballou rendono il tutto più diretto e incalzante; lo si può percepire chiaramente dal pezzo di apertura, dalla title track e da Firebooter, belle tirate e senza fronzoli. Lo spirito dei migliori Motorhead aleggia su tutto il lavoro e Matt Pike sembra il più credibile erede del leggendario bassista e cantante di origini gallesi, per la voce al vetriolo, l'attitudine, il carisma e la vita rocambolesca.
Ma non pensate a un monolito inscalfibile e tetragono, i Nostri donano con sapienza dinamicità ai pezzi e, da maestri del doom, sanno dove e quando rallentare, come nelle lunghe e magmatiche Steps Of The Ziggurat/House Of EnlilI e Sactioned Annihilation. I testi sono sempre i soliti testi schizzati, deliranti, perennemente in bilico tra cospirazioni, mondi alieni e misteri innominabili; magari non il meglio che può offrire il metal oggidì, ma perfettamente calati nel suono High On Fire. Menzione speciale va agli assoli di chitarra di sua maestà Matt Pike, sempre bellissimi, personali e a servizio della canzone: un'arma micidiale che pochissimi gruppi al mondo possono vantare. Dove sta l'intoppo, direte voi. Se siete metallari fino al midollo o vi siete approcciati agli High On Fire solo di recente, probabilmente da nessuna parte. Se invece seguite il power trio del chitarrista degli Sleep dagli inizi, forse vi mancherà quel tocco di stoner in più che caratterizzava i primi lavori - quando Matt era ancora strettamente legato alla sua band madre - palpabile qui forse nella sola, splendida Drowning Dog. O, piuttosto, è il periodo di mezzo che può apparire lontano e da rimpiangere, quando la mistura tra il primigenio stoner e l'attuale speed/sludge era perfettamente bilanciata: l’apice della gaussiana, che coincide con quel Death Is This Communion che quando uscì fece gridare al miracolo più di qualcuno e a tutt'oggi rimane uno degli album più importanti del metal del nuovo millennio.
Ma guardare troppo al passato può confondere, e, al momento, la cosa più sensata da fare è godersi questi splendidi musicisti, non lasciarseli sfuggire in concerto, forse la loro dimensione migliore, e, perché no, guardare fiduciosi al futuro, chiedendosi cosa potrà mai combinare ancora quel folle di Matt Pike, se preferirà premere ancora di più l'acceleratore, ritornare sui propri passi o se saprà stupirci con qualche altra trovata nuova di zecca.
Recensione a cura di: Alessandro Attori
Voto: 75/100
Tracklist:
1. Spewn from the Earth 03:59
2. Steps of the Ziggurat/House of Enlil 09:21
3. Electric Messiah 04:16
4. Sanctioned Annihilation 10:29
5. The Pallid Mask 05:15
6. God of the Godless 05:20
7. Freebooter 04:57
8. The Witch and the Christ 06:32
9. Drowning Dog 06:43
DURATA TOTALE: 56:52
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