ROTTING CHRIST "The Heretics" (Recensione)
Full-length, Season Of Mist
(2019)
Se ne sono lette di cotte e di crude sul nuovo lavoro di Sakis Tolis e compari: una nutrita serie di testate ne parla come di una palla soporifera, molti altri ne dicono un gran bene. Ora, io sono da tanti anni un grandissimo estimatore della band greca, e la mia stima è stata guadagnata specialmente per il corso seguito subito dopo la fine dell'epoca gotica, con lavori eccezionali come “Khronos”, “Genesis”, “Sanctus Davolos”, “Theogonia”, e con i successivi “Aealo” e “Katá ton Daímona Eautoú” a tenere botta in maniera egregia. Solo con “Ritual”, la band ellenica ha avuto una battuta d'arresto: quel disco aveva una sua identità, così come anche dei pezzi ed arrangiamenti degni di nota, ma sembrava un po' faticare a trovare il bandolo della matassa e, in definitiva, manca di qualcosa.
E questo “The Heretics”? Diciamo subito che “The Heretics” è un disco con una forte coesione interna, che echeggia in molte occasioni quella che è la loro cifra stilistica ma che riesce comunque a costruirsi una sua identità; a livello compositivo non si tratta di uno dei loro album di punta, ma è comunque migliore rispetto al disco che lo ha preceduto.
Non so se possiamo parlare di concept album vero e proprio, ma sicuramente tutto ruota attorno all'idea di eresia, di idee non conformi alla morale convenzionale e del modo in cui la società e le religioni istituzionali hanno sempre reagito per mantenere lo status quo ideologico: da qui la decisione di inserire (in maniera un po' didascalica, in verità) diversi passi e citazioni tratti dalle opere di gente come Thomas Paine, Voltaire, Nietzsche, di Dostoyevsky oltre all'intramontabile John Milton.
Dal punto di vista musicale, i quattro greci hanno ben pensato di scrivere pezzi che rispecchiassero appieno il contenuto liturgico del disco: così come “Sanctus Diavolos” faceva ampio ricorso a cori di stampo sinfonico ed operistico, questo “The Heretics” è letteralmente infarcito di canti sacri e rituali, che costituiscono il vero punto forte dell'album. I pezzi sono abbastanza tribali e scarni nella loro struttura base, con frequenti ed insistite iterazioni dello stesso tema ritmico, su cui poi la band intesse le multistratificazioni vocali: l'effetto complessivo è davvero ipnotico, sembra davvero di ritrovarsi dentro un tempio ad assistere ad una solenne celebrazione, anche se il tutto, talvolta, scade nella monotonia (ed è questo il principale difetto dell'album).
I pezzi simbolo del lavoro per me sono la opener “In the name of god” e “Fire god and fear” - ma avete notato quanto tendono a ripetersi con i titoli? Non a caso Sakis Tolis è un fan dei Manowar – ma spiccano sicuramente anche la pagana “Vetry Zlye” (con l'ugola di Irina Zybina) e “The voice of the universe” (con la partecipazione di Ashmedi dei Melechesh), mentre in chiusura troviamo la goticheggiante “The raven”, trasposizione musicale del poema di Edgar Allan Poe.
Menzione a parte per le bonus tracks dell'edizione deluxe “Sons of hell pt. I” e “Sons of hell pt. II”: la prima sembra veramente una outtake dei tempi di “A dead poem”, la seconda è decisamente più brutale, e funzionano davvero benissimo. Tutt'altro che scarti, sono pezzi che meritano davvero l'inclusione a pieno titolo nel disco.
Al di là delle preferenze personali per il disco, insomma, “The Heretics” riconferma i Rotting Christ come una band di riferimento, con una propria fortissima identità e con un proprio modo personale di declinare il black metal, lontano dai trend e da quanto fatto da altri.
Recensione a cura di: Fulvio Ermete
Voto: 78/100
Tracklist:
1. In the Name of God 04:14
2. Ветры злые 03:13
3. Heaven and Hell and Fire 04:52
4. Hallowed Be Thy Name 05:06
5. Dies Irae 03:46
6. Πιστεύω 03:42
7. Fire, God and Fear 04:50
8. The Voice of the Universe 05:23
9. The New Messiah 03:07
10. The Raven 05:23
11. The Sons of Hell 04:18
DURATA TOTALE: 47:54
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