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DARK ANGEL "Leave Scars" (Recensione)


Full-length, Combat Records 
(1989) 

Quando si parla di Dark Angel, gli album che solitamente vengono menzionati sono “Darkness descends” per il suo furore belluino, e “Time does not heal” per la complessità strutturale (i famosi 246 riffs della reclame – sono venuti 248, che faccio, lascio?). Molto meno considerati sono invece sia il debutto “We have arrived”, che con la sua immaturità e la mancanza di sir Gene Hoglan è normale che non venga cagato più di tanto, e soprattutto il qui presente “Leave scars”, nonostante sia stato il loro album di maggiore successo commerciale. 

Le ragioni, per me, rimangono un mistero. Più che un disco di transizione trai diversi approcci dei due menzionati album, “Leave Scars” è infatti la perfetta sintesi di quanto di meglio si trova in quei lavori, dimostrando che è possibile esprimere una brutalità senza paragoni anche con un riffing e con strutture articolate. Ad eccezione dei primi due pezzi, della cover e di un breve strumentale atmosferico, infatti, i brani superano i sette minuti, ma non perdono mai di freschezza, impatto e tensione, attraversando ogni stadio tipico della cannonata thrash: la velocità slayeriana, il mid tempo terremotante, il break più melodico e così via dicendo, spesso e volentieri tutto in un unico pezzo. Il risultato è il disco più piacevole e scorrevole che abbiano mai scritto, quello che proprio non stanca mai anche dopo ripetuti ascolti, anche per una varietà che ricomprende una strumentale non fine a sé stessa (“Cauterization”) ed una cover che non ti aspetti (“Immigrant song”dei Led Zeppelin) rispettosa dell'originale ma allo stesso tempo personale, capace di mettere davvero in mostra la bravura del bassista Mike Gonzales, che davvero impreziosisce un capitolo un po' insolito per la band. 

Ma non si può sottacere l'importanza che nella riuscita del disco hanno avuto anche gli altri membri, dalla funambolica coppia d'asce Jim Durkin ed Eric Meyer al vero motore di tutta la baracca, quel Gene Hoglan che dilaga in lungo ed in largo rendendo davvero giustizia alla sua fama di pestapentole di grandissima classe – una fama che crescerà ancora di più con la sua intensa attività mercenaria successiva. Note dolenti sono sicuramente una produzione abrasiva ma non troppo pulita – nel 1989 si poteva sicuramente già fare di meglio – nonché la voce del nuovo frontman Ron Rinehart, che aggiunge qualche vago accenno melodico in sottotraccia rispetto al suo predecessore, ma senza mai brillare davvero. Diciamo che non rovina i pezzi, ma nemmeno dà quella spinta di cui, forse, avrebbero avuto bisogno per ottenere l'agognato successo. 

Ed è davvero un peccato che, tra le tante reunion che si sono sprecate negli ultimi anni, proprio quella dei Dark Angel non sia ancora riuscita a concretizzarsi seriamente, data per fatta e poi abortita più e più volte. 
Bisogna dirlo, certi gruppi nascono proprio a braccetto con la sfiga!

Recensione a cura di: Fulvio Ermete
Voto: 88/100

Tracklist:
1. The Death of Innocence 03:49 
2. Never to Rise Again 03:55 
3. No One Answers 07:51
4. Cauterization 07:20 instrumental
5. Immigrant Song (Led Zeppelin cover) 01:48 
6. Older than Time Itself 07:01 
7. Worms 02:17 instrumental
8. The Promise of Agony 08:27 
9 .Leave Scars 07:40

DURATA TOTALE: 50:08 

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