Vuoi qui il tuo annuncio? Scrivi a: hmmzine@libero.it

THE OCEAN "Phanerozoic I: Palaeozoic" (Recensione)

 
Full-length, Metal Blade Records
(2018)

Non era mai capitato che si dovesse aspettare così tanto tempo prima di dover ascoltare un loro nuovo lavoro: ben cinque anni sono dovuti passare da quel “Pelagial” che, secondo me, ha rappresentato l'apice compositivo dell'ex collettivo tedesco. Ex collettivo perché, pur non avendo rinunciato a collaborazioni e comparsate varie, oramai la creatura di Robin Staps ha assunto più o meno stabilmente la forma di una vera e propria band tradizionale con quattro membri, tra cui spicca il vocalist di lungo corso Loic Rossetti.

Orbene, note tecniche a parte, com'è questo nuovo lavoro? Giudicare un disco dei The Ocean non è che sia semplicissimo, in quanto si tratta – come di consueto – di opere piuttosto dense ed articolate per arrangiamenti, strutture e persino durata: specialmente in passato, gli album gemelli o doppi si sprecavano, ed apprezzarli compiutamente è un'impresa non di poco conto. Bene o male, devo dire che si conferma l'idea che ho sempre avuto della creatura di Staps, ovvero di una band meritevolissima e piena di qualità, ma che combatte costantemente con la ricerca del picco definitivo che li consacri. In altre parole, sempre molto belli ma non eccezionali. Personalmente, tra l'altro, ritengo che tra questo “Phanerozoic I: Palaeozoic” ed i dischi immediatamente precedenti c'è stato un piccolo, sensibile, calo compositivo (anche se non credo di essere in buona compagnia nel giudizio).

Idealmente il nuovo disco si ricollega a quel “Precambrian” di circa undici anni fa: si è passati da un concept basato sul primo eone geologico a quello fanerozoico, caratterizzato dall'esplosione della vita, ed anche la copertina sottolinea la continuità concettuale trai due dischi. Come sempre nella loro storia, si tratta di un lavoro ricco di influenze e di rimandi, con pezzi molto lunghi ed elaborati, di respiro progressive (una piccola intro e poi sei pezzi in quasi tre quarti d'ora). La base è costituita dal post hardcore riflessivo e potente di band che hanno fatto la storia come Isis e Cult Of Luna, da cui traggono l'andamento ipnotico e liquido, chitarre molto dure che danno vita ad arrangiamenti complessi, l'uso di tastiere a creare atmosfere crepuscolari. Sono poi tanti i rimandi, dagli ultimi Katatonia ai Mastodon, passando oramai per gli onnipresenti Tool.

Personalmente, ritengo che danno il meglio proprio quando pestano meno e danno più spazio al respiro degli arrangiamenti (soprattutto su “Silurian: age of sea scorpions” e la conclusiva “Permian: the great dying”), almeno in questo disco. “Precambrian” era più duro e meshugghiano, e comunque riusciva meglio nelle partiture più marcatamente metalliche. Era però davvero un'altra formazione, ed anche se la regia è sempre la stessa, è normale che vi siano sensibilità ed abilità diverse.

Recensione a cura di: Fulvio Ermete
Voto: 77/100
 
Tracklist:
1. The Cambrian Explosion 01:54
2. Cambrian II: Eternal Recurrence 07:51 
3. Ordovicium: The Glaciation of Gondwana 04:49 
4. Silurian: Age of Sea Scorpions 09:36 
5. Devonian: Nascent 11:05 
6. The Carboniferous Rainforest Collapse 03:08
7. Permian: The Great Dying 09:22 

DURATA TOTALE: 47:45

Bandcamp
Facebook

Nessun commento