WARREL DANE "Shadow Work" (Recensione)
Century Media Records
(2018)
Ora, io non so se questo “Shadow Work” sia veramente il disco che i Nevermore avrebbero dovuto pubblicare all'indomani di “Dead heart in a dead world” (come sostiene mio fratello), ma di sicuro è la cosa migliore su cui Warrel Dane abbia cantato da un bel po' di anni a questa parte.
“The obsidian conspiracy”, l'ultimo lavoro targato Nevermore (2010), non riesce a piacermi nemmeno dopo ripetuti ascolti. I dischi di comeback dei Sanctuary sono stati una vera delusione; in quanto al precedente disco solista, “Praise to the war machine”, a malapena mi ricordavo che l'avesse pubblicato (in fondo era stato realizzato con l'aiuto di alcuni membri dei Soilwork, pensa te).
Invece questo “Shadow work” è davvero bello. Il mai troppo compianto Warrel è andato a stanare quattro bravissimi musicisti brasiliani che hanno saputo davvero imitare benissimo lo stile, il gusto, la tecnica dei Nevermore. Questa somiglianza con la band di Seattle avrebbe potuto essere un punto a sfavore, se non fosse che si tratta della band dello stesso frontman che ne è stato, da sempre, uno dei compositori principali.
E quindi, cosa troviamo in questo “Shadow Work”? Si tratta di un thrash metal moderno e tecnico, fatto di riff spezzati e fraseggi melodici che si inseriscono davvero non si sa come, con sfumature di power americano e modernissimo djent, ora violento come un macigno ora suadente e gotico, sempre e comunque molto meccanico e quadrato. Su tutto campeggia l'interpretazione poliedrica e carismatica dell'indimenticabile Warrel, che spazia tra ruggiti poco meno che growl, sussurri e linee stentoree. Diciamo che la formula base dei pezzi è, grossomodo, quella della bordata metallica più o meno diretta o fratturata che, all'altezza del refrain principale, subisce un rallentamento e si schiude in una nenia crepuscolare. Detta così l'album può sembrare monotono, ma tutt'altro, perché le soluzioni di arrangiamento adottate sono davvero molteplici tra accelerazioni slayeriane, minacce alla Meshuggah e contorti amplessi alla Forbidden.
E' davvero difficile indicare un pezzo rispetto ad un altro: mi piace segnalare gli ultimi tre brani, ovvero la stravolta, violentissima ed ipnotica cover di “The hanging garden” dei The Cure (al caro Warrel non è mai piaciuto vincere facile, con le cover), la suadente “Rain” con la melodia per me meglio riuscita del lotto, e la epica e conclusiva “Mother is the word for god”, una specie di lunga suite che riassume perfettamente quello che l'enorme frontman di Seattle ha saputo esprimere in decenni di insuperabile carriera.
Leggevo che, originariamente, questo lavoro avrebbe dovuto essere lungo quasi il doppio: ma non è certo il caso di recriminare contro il destino, che anzi è già tanto che simili gemme abbiano potuto essere salvate in una situazione tanto tragica - a quanto pare le parti vocali sono state recuperate dalle versioni demo dei brani, e sono meravigliose già così.
Recensione a cura di: Fulvio Ermete
Voto: 80/100
1. Ethereal Blessing 01:11
2. Madame Satan 04:37
3. Disconnection System 06:00
4. As Fast as the Others 04:41
5. Shadow Work 04:12
6. The Hanging Garden (The Cure cover) 05:51
7. Rain 05:40
8. Mother Is the Word for God 09:31
DURATA TOTALE: 41:43
WEB:
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