EMPEROR "Anthems to the Welkin at Dusk" (Recensione)
(1997)
Certe cose per apprezzarle appieno le devi vivere nel momento in cui accadono. Gli Emperor credo siano conosciuti da quasi tutti in ambito metal, e non solo black, ma non tutti hanno avuto la fortuna di goderseli mentre uscivano i loro album, dai primi anni Novanta fino ai primi del Duemila, anche se, per quanto mi riguarda, i veri Emperor finiscono proprio con questo album, dopo una serie di split, ep, il magnifico e unico "In The Nightside Eclipse" e il qui presente "Anthems To The Welkin At Dusk".
Ogni volta che qualcuno mi chiede quale sia il mio album preferito di questa straordinaria band, di istinto mi viene da rispondere citando il loro primo album "In The Nightside Eclipse", ma spesso subito dopo ho un tentennamento, perchè il qui presente disco venuto dopo è a dir poco stupefacente, e se vogliamo dirla tutta è per certi versi superiore al primo, calcolando il grado di maturità che la band aveva maturato nel giro di pochi anni dopo il debutto.
Ogni volta che qualcuno mi chiede quale sia il mio album preferito di questa straordinaria band, di istinto mi viene da rispondere citando il loro primo album "In The Nightside Eclipse", ma spesso subito dopo ho un tentennamento, perchè il qui presente disco venuto dopo è a dir poco stupefacente, e se vogliamo dirla tutta è per certi versi superiore al primo, calcolando il grado di maturità che la band aveva maturato nel giro di pochi anni dopo il debutto.
Probabilmente il primo album ha una carica oscura leggermente più accentuata, anche grazie ad una produzione più underground, e bisogna tenere conto che usciva in un periodo in cui tante Chiese erano state appena bruciate, e tanta gente stava finendo in galera. La stessa gente che partoriva queste gemme, e alcuni componenti degli stessi Emperor come Samoth e Faust, aderivano appieno al clima di violenza legata al satanismo di quegli anni, con l'Inner Circle che metteva davvero paura con le sue azioni. Entrambi finirono in galera, ma se per il chitarrista Samoth le accuse riguardavano "solo" qualche rogo a luoghi cristiani sacri, per il batterista Faust l'accusa era invece decisamente più pesante, con l'omicidio di un omosessuale, a cui rifilò 37 coltellate, se la memoria non mi inganna...Per potervi rendere conto di che aria si respirasse in Norvegia nei primi anni Novanta e precedentemente alla pubblicazione di "In The Nightside Eclipse", vi riporto uno stralcio di articolo, che potete trovare sia sul libro "Lords Of Chaos" che in giro per il web:
"E' la notte del 21 agosto 1992. Bard Eithun, trasferitosi a Oslo definitivamente un mese prima, torna a casa a Lillehammer per fare visita alla madre. A notte fonda decide di fare un giro in città per bersi una pinta di birra al pub, ma c'è troppa gente in giro e non è la serata giusta da passare dietro a un bancone. Bard esce dal locale e si incammina verso casa, quando viene avvicinato da un uomo. Si tratta di un omosessuale sulla cinquantina, Magne Andreassen, che - palesemente ubriaco - cerca un primo approccio con il suo futuro carnefice. Gli chiede da accendere, ma ha già una sigaretta in bocca, ed è subito chiaro come sia in cerca di qualche emozione più forte. Cerca di convincerlo a camminare insieme nel bosco, verso un posto più appartato. Faust accetta immediatamente e la sua risposta affermativa non ci deve sorprendere più di tanto, visto che ha già deciso di ucciderlo."
Le dichiarazioni di Faust all'epoca dopo la sua incarcerazione suonarono ancora più agghiaccianti dell'atto stesso, ma erano in linea con la psicosi collettiva che ormai aveva contagiato molti adepti di Euronymous che bazzicavano il suo negozio di dischi chiamato Helvete.
Tutto questo è molto eloquente di cosa significasse parlare di black metal in quegli anni, di ascoltarlo, di leggere riviste e fanzine, di vivere sia la musica che i fatti. Ma tutto questo finì ad un certo punto, e questo "Anthems To The Welkin At Dusk", infatti, non vede Faust dietro le pelli, in quanto egli fu condannato a 14 anni di carcere. Dietro le pelli vediamo l'ingresso dell'ottimo Trym Torson (ex Enslaved), che rimarrà in line-up fino allo split della fornazione, avvenuto dopo il non eccellente "Prometheus - The Discipline of Fire & Demise", nel 2001. Dopo la band si riunì per degli show sporadici ad alcuni festival, tenuti nei periodi 2005-2007, e 2013-2014, con il ritorno di Faust dietro ai tamburi, per festeggiare il ventennale di "In The Nightside Eclipse".
Il qui presente disco è un capolavoro senza mezzi termini. Dopo l'epica e lunga intro "Alsvartr (The Oath)", parte come una scheggia impazzita "Ye Entrancemperium", un monolite nerissimo di ferocia e malvagità senza fine. La velocità di questo brano è impressionante e chiarisce subito che gli Imperatori sono tornati, più selvaggi di prima, ma anche più epici, tecnici e brutali. Il pezzo è una dichiarazione di intenti, un rincorresrsi di emozioni incredibili. Lo stato di tensione è altissimo, le tastiere sono abili nell'appoggiare i riff, e attorno al terzo minuto al band si apre a riff e cori ancora più epici, con qualche rallentamento ad effetto, fino alla chiusura devastante che riprende il riff iniziale. Ihsahn si esprime in uno scream sapientemente tenuto a basso volume, che si amalgama molto bene con il resto degli strumenti, per un risultato di rara efferatezza sonora. Stesso discorso per tutti i brani successivi, non ci sono cedimenti: "Thus Spake the Nightspirit" e "Ensorcelled by Khaos" sono canzoni che rievocano il primo album, ma che aggiungono tecnica e soluzioni più intricate, ovvero gli elementi che verranno amplificati nei due album successivi.
E quindi arriviamo al primo singolo e video che furono estratti all'epoca per anticipare e pubblicizzare questo disco, "The Loss and Curse of Reverence". Ricordo ancora i brividi lungo la schiena, quando proprio nel 1997, in una puntata di Headbanger's Ball trasmisero il video di questa canzone. Ricordo le armature medievali che sfoggiavano gli Emperor nel video, il face painting, i riff indemoniati della coppia Ihsahn-Samoth, la batteria furiosa di Trym e le aperture sinfoniche. Tutto era perfetto, loro non erano tra i migliori nel black metal, erano probabilmente i migliori. O perlomeno in ambito sinfonico, nessuno poteva reggere il confronto. Nonostante gente come Arcturus, Dimmu Borgir, Old Man's Child, Mactatus e altri avessero sfornato ottimi lavori, nessuno poteva rubare lo scettro agli Emperor. Troppo avanti, troppo ispirati.
Passiamo quindi attraverso l'ottima "The Acclamation of Bonds", per arrivare ad un'altro dei miei episodi preferiti del disco, ovvero "With Strength I Burn", coi suoi otto minuti di melodie sinistre, di cavalcate in doppia cassa e il cambio di registro dopo poco più di un minuto, che ci porta in territori di clean vocals ed epicità pura. Ma è verso il quinto minuto che la band dà una prestazione da lacrime, da orgasmo puro, in un crescendo di black metal violento ma allo stesso tempo malinconico, sofferente, frutto di sentimenti radicati nel nostro intimo più profondo. Finale affidato a riff travolgenti, blast beat a cascata e un rincorrersi di synth e chitarre da pelle d'oca.
Che dire poi della chiusura affidata alla strumentale "The Wanderer"? Non ci sono parole per descrivere un pezzo del genere: un abisso di sofferenza dove la batteria si attenua in un mid tempo d'atmosfera, e chitarre semplici che disegnano un affresco di misantropia ed epicità ai massimi livelli.
Non rimane molto altro da dire, se non il fatto che sono fiero e orgoglioso di aver potuto comprare e vivere album di questo livello nel loro periodo di uscita. C'è anche da dire che all'epoca i dischi si compravano e si ascoltavano da inizio a fine, ma seriamente. Non avevi mp3 o cose del genere. Certo, c'era il tape trading, ma anche in quei casi i dischi li ascoltavi tutti anche in cassetta copiata, e se ti piacevano correvi a comprarli. Nel mio caso amavo questa band sin dai primi demo, quindi ogni uscita era un acquisto a scatola chiusa ed un obbligo.
Quello che è venuto dopo "Anthems To The Welkin At Dusk" lo reputo decisamente inferiore, seppure non tutto da buttare via. In particolare l'album seguente "IX Equilibrium" è ancora meritevole, seppur molto meno atmosferico e con netti influssi death e prog. Invece il canto del cigno, affidato a "Prometheus - The Discipline of Fire & Demise", è un disco che reputo non male, ma lontano anni luce dagli esordi di questi geni, che è bene precisare non erano nemmeno ventenni quando partorirono il primo album, e dei teenagers all'epoca dei primi demo ed ep...Una grande band che non c'è più e non è stata più eguagliata da nessuno, ma che ci ha lasciato in eredità pochi, ma essenziali dischi che hanno fatto la storia non solo del black, ma del metal tutto.
Recensione a cura di: Sergio Vinci "Kosmos Reversum"
Voto: 93/100
Tracklist:
1. Alsvartr (The Oath) 04:18
2. Ye Entrancemperium 05:15
3. Thus Spake the Nightspirit 04:30
4. Ensorcelled by Khaos 06:39
5. The Loss and Curse of Reverence 06:10
6. The Acclamation of Bonds 05:54
7. With Strength I Burn 08:17
8. The Wanderer 02:55 instrumental
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