MINISTRY "AmeriKKKant" (Recensione)
Full-length, Nuclear Blast
(2018)
Dai, qualcuno ci aveva veramente creduto che Al Jurgensen aveva davvero messo per sempre a riposo la sua famosa creatura? Chiaramente no, vista l'incostanza del nostro, per cui ecco che, a distanza di un paio di anni dal progetto Surgical Meth Machine (che poi tanto diverso da quanto fatto prima non era), ecco che i Ministry fanno nuovamente ritorno.
Ancora una volta è l'elezione di un nuovo presidente degli Stati Uniti repubblicano a dare ispirazione al tutto; ma se i due Bush avevano generato i due album più violenti della loro discografia (il fondamentale “Psalm 69” e il tellurico “Houses of the molè”), Trump sembra avere messo K.O. il caro Al, che con “Amerikkant” esce fuori uno dei loro dischi meno energetici e più riflessivi. I pezzi sono più che altro dei tempi medi di fattura ipnotica e cantilenante, intrisi di melodia così come sia possibile pensarla in un disco dei Ministry, quindi distorta, angosciata, sinfonica ed apocalittica allo stesso tempo, che talvolta deflagra quando meno te lo aspetti, talvolta si annida negli interstizi dei mosaici di cut-up che confezionano.
Risultato finale? Si tratta di un lavoro in cui il lato “riflessivo” prende un po' il sopravvento su quello aggressivo, che riesce comunque ad essere imprescindibile come ogni loro lavoro, anche se ogni tanto fa capolino la noia; un disco bello, ma che rimane un po' nel limbo, circondato da tante loro produzioni migliori, con delle idee che magari potevano essere sfruttate meglio. Un esempio? La bellissima “Victims of a clown”, un pezzo davvero convincente che deflagra in un bellissimo riff...che però inopinatamente dura solo una decina di secondi. In ogni caso non fidatevi troppo di questa recensione: anche qualora facessero un disco mediocre, non lo ammetterei nemmeno sotto tortura.
Ancora una volta è l'elezione di un nuovo presidente degli Stati Uniti repubblicano a dare ispirazione al tutto; ma se i due Bush avevano generato i due album più violenti della loro discografia (il fondamentale “Psalm 69” e il tellurico “Houses of the molè”), Trump sembra avere messo K.O. il caro Al, che con “Amerikkant” esce fuori uno dei loro dischi meno energetici e più riflessivi. I pezzi sono più che altro dei tempi medi di fattura ipnotica e cantilenante, intrisi di melodia così come sia possibile pensarla in un disco dei Ministry, quindi distorta, angosciata, sinfonica ed apocalittica allo stesso tempo, che talvolta deflagra quando meno te lo aspetti, talvolta si annida negli interstizi dei mosaici di cut-up che confezionano.
Risultato finale? Si tratta di un lavoro in cui il lato “riflessivo” prende un po' il sopravvento su quello aggressivo, che riesce comunque ad essere imprescindibile come ogni loro lavoro, anche se ogni tanto fa capolino la noia; un disco bello, ma che rimane un po' nel limbo, circondato da tante loro produzioni migliori, con delle idee che magari potevano essere sfruttate meglio. Un esempio? La bellissima “Victims of a clown”, un pezzo davvero convincente che deflagra in un bellissimo riff...che però inopinatamente dura solo una decina di secondi. In ogni caso non fidatevi troppo di questa recensione: anche qualora facessero un disco mediocre, non lo ammetterei nemmeno sotto tortura.
Recensione a cura di: Fulvio Ermete
Voto: 75/100
Tracklist:
1. I Know Words 03:15
2. Twilight Zone 08:03
3. Victims of a Clown 08:18
4. TV5/4Chan 00:49
5. We're Tired of It 02:48
6. Wargasm 06:19
7. Antifa 04:56
8. Game Over 05:01
9. AmeriKKKa 08:30
DURATA TOTALE: 47:59
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