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WITCHES OF DOOM "Deadlights" (Recensione)

Full-length, Sliptrick Records 
(2016)

Cosa vi spiazza in un disco? Copertina, sound, aggressività (o delicatezza) capacità della band di scrivere l'hook del momento, di essere catchy, presenza del groove? In genere è così, in questo caso è... il monicker! È la verità: a forza di leggere in giro il nome dei Witches Of Doom mi ero fatto l'idea di avere dinanzi una band dedita al doom che più classico, epico e oscuro non si può, vuoi grazie al chiaro riferimento di genere nel monicker, vuoi grazie all'evocazione delle Parche che inevitabilmente suscita lo stesso.

Eppure... basta premere play sull'iniziale “Lizard tongue” per scoprire che c'è qualcosa di fortemente ipnotico nella musica del quintetto romano, qualcosa che tende magari a non farteli prendere sul serio, per poi risultare una componente imprescindibile del loro sound. Sto parlando delle tastiere di Graziano “Eric” Corrado: quello che all'inizio sembra un elemento di disturbo, alla lunga emerge come il tratto distintivo che può davvero fare la differenza in questi casi. Certo, per un amante della vecchia guardia – sia in campo gothic che in campo doom – l'eccesso di effetti è un boccone anche troppo grosso da digerire, ma col tempo ci si fa l'abitudine, come uno sciroppo un po' pungente. Per rendere l'idea, passate pure alla successiva “Run with the wolf”, che unisce all'ossatura delle tastiere una serie di sonorità orientali su cui si staglia un cantato di chiara matrice gothic... sì, proprio quello degli anni '80: immaginatevi un incontro tra il classico Wayne Hussey e l'alternative/noise più acido di marca Laughing Hyenas o Jesus Lizard e avrete una mezza idea della timbrica vocale di Danilo “Groova” Piludu.

Certo, forse “Deface” o “Winter Coming” pendono un po' troppo sul versante della melodia, ma a riportare il tutto sui lidi più consoni agli amanti dell'oscurità ci pensano la disperata “Homeless”, il mood vicino ai Sisters Of Mercy di “Black Voodoo Girl”, nonché l'oscura e sabbathiana track strumentale “Mater Mortis” (che ricorda molto da vicino i fasti del doom italiano, Paul Chain e The Black su tutti). Va dunque detto in definitiva come “Deadlights” sia un disco decisamente interessante, che dispiega le sue perle poco a poco, come nel caso di “Gospel For War”, impreziosita da un arrangiamento folle di tastiere che ricorda il glorioso heavy/psych di fine anni 80 (qualcuno ha detto Arthur Brown?), per poi regalarci le vellutate sonorità soul della conclusiva “I don't want to be a star”, impreziosita anche da un ottimo lavoro di chitarra che guida il tutto verso l'inevitabile sferzata finale a suon di psichedelia.

In sostanza, la componente più oscura dei Witches Of Doom è spesso bilanciata da massicci inserti di matrice tipicamente rock, grosso, sgraziato e colante sudore, arrotondato dalle linee vocali di Piludu che aggiornano il tutto sulle coordinate care a The Mission o magari ai Diablo Blvd. Se è ovvio che ognuno vede i paragoni che vuole, non si può negare ai Witches Of Doom la capacità di osare oltre le coordinate predefinite: su questi intenti è presumibile che il loro futuro sia ancor più interessante di un presente già soddisfacente e ricco di spunti interessanti.

Recensione a cura di: schwarzfranz
Voto: 78/100

Tracklist:

1. Lizard Tongue 04:13
2. Run with the Wolf 04:49
3. Deface (The Things That Made Me a Man) 05:45
4. Winter Coming 04:35
5. Homeless 05:32
6. Black Voodoo Girl 04:46
7. Mater Mortis 03:01
8. Gospel for War 04:35
9. I Don't Want to Be a Star 06:59
DURATA TOTALE: 44:15 

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