BOX THE WITNESS "SINCoPE" (Recensione)
EP, Independent
(2016)
Nati nel 2012 come WS4W (We Stand For Willy), formazione con all'attivo l'EP "Rough South", i Box The Witness hanno poi cambiato nome spostando il loro suono verso una direzione più violenta, con uno stile che unisce hardcore, groove metal, e tendenze tra il metalcore ed il nu metal. I componenti sono, in ordine: Pascal Lemos ( Chitarra), Nicola Lena (Voce), Leo Giso (Basso) e Ivan Oliviero (Batteria), provenienti da svariate realtà nostrane dedite a diversi generi, tra lo stoner, il crossover, ed addirittura la drum'n'bass.
Ora i Nostri propongono l'EP "SINCoPE", composto da cinque tracce dove la loro proposta si esplicita tra tirate urbane dalle grida taglienti e dai movimenti circolari roboanti, e parti più pulite; uno stile che non può non ricordare i primi Lamb of God, Machine Head, Devildriver, e compagnia varia legata alla corrente americana del genere. Ecco quindi "Awkward Reflection" con la sue bordate rocciose condite da grida rauche e montanti stridenti, un pezzo dove non mancano inserti in farsetto e cavalcate groove, o la seguente "I've Seen The Blues Explode" con la sua falsa partenza in fraseggio, appunto, blues, seguita da dissonanze ad accordatura bassa e momenti hardcore da isteria collettiva, brano che non dimentica la presenza del basso ed alcune brutalità al limite del grind.
"Nero" gioca sui giri circolari, optando per un cantato in italiano che ricorda un Coery Taylor primo stile con il tono malevolo aperto a digressioni rauche, arricchito da riff marziali e cadenze di batteria ritmate; "The Luxury of Dirt" prosegue sulla linea già ben chiara, usando riff compulsivi di matrice thrash rivisti secondo i canoni sincopati del metalcore, ed applicando il solito stile vocale e le claustrofobie di songwriting già care agli appassionati del genere. "God ex Machine" chiude l'opera con un' intro strisciante, presto però sconvolto da una corsa nervosa dai ruggiti decisi e dalle mitragliate ossessive di chitarra, basandosi su un'ossatura ritmica viva e mutevole; nel finale ci sorprende con toni ska dal gusto ironico, e con suoni di flauto da sagra paesana e campionamenti vocali cinematografici.
Un buon lavoro fatto da appassionati del genere per appassionati del genere, il quale non rivoluziona nulla, ma non punta nemmeno a farlo, onesto e diretto nelle sue influenze e nella sua proposizione.
Recensione a cura di: Davide Pappalardo
"Nero" gioca sui giri circolari, optando per un cantato in italiano che ricorda un Coery Taylor primo stile con il tono malevolo aperto a digressioni rauche, arricchito da riff marziali e cadenze di batteria ritmate; "The Luxury of Dirt" prosegue sulla linea già ben chiara, usando riff compulsivi di matrice thrash rivisti secondo i canoni sincopati del metalcore, ed applicando il solito stile vocale e le claustrofobie di songwriting già care agli appassionati del genere. "God ex Machine" chiude l'opera con un' intro strisciante, presto però sconvolto da una corsa nervosa dai ruggiti decisi e dalle mitragliate ossessive di chitarra, basandosi su un'ossatura ritmica viva e mutevole; nel finale ci sorprende con toni ska dal gusto ironico, e con suoni di flauto da sagra paesana e campionamenti vocali cinematografici.
Un buon lavoro fatto da appassionati del genere per appassionati del genere, il quale non rivoluziona nulla, ma non punta nemmeno a farlo, onesto e diretto nelle sue influenze e nella sua proposizione.
Recensione a cura di: Davide Pappalardo
Voto: 70/100
Tracklist:
Tracklist:
1. Awkward Reflection
2. I've Seen The Blues Explode
3. Nero
4. The Luxury of Dirt
5. God ex Machine
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