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FORKLIFT ELEVATOR - Killerself (Review)

EP - logic(il)logic Records / Andromeda Dischi
(2016)

Dopo l’esordio dello scorso anno, con LP “Borderline”, i padovani Forklift Elevator tornano alle stampe con questo EP dal rombate titolo “Killerself”, per presentare il nuovo arrivato nella line up, ovvero il chitarrista Uros Obradovic. Attivi fin dal 2009, i Forklift Elevator si segnalano subito all’attenzione della scena veneta per i loro show molto fisici, face to face, guadagnando il rispetto e l’attenzione degli addetti ai lavori. Dare delle etichette alla musica di un gruppo è una cosa riduttiva, ma nel variopinto e sterminato universo metallico, se non si danno delle coordinate stilistiche ben precise, c’è rischio di perdersi. E questi ragazzi, con la loro proposta artistica, hanno idee molto chiare che portano avanti senza compromessi e a tutta velocità.
Il metal proposto dai Forklift Elevator si muove sulle coordinate del trhash di lampante estrazione “slayeriana” lasciando poco spazio ai dubbi dell’ascoltatore, ma anche poco spazio alla loro personalità artistica.

L’EP si apre con una breve intro “Life Denied”, che introduce alla scolastica e cadenzata “Bagger 288”. Già a queste prime battute, emerge l’amore viscerale che questi trhashers nutrono per il combo di Kerry King e soci: riff serrati e assassini che corrono a tutta velocità su un muro ritmico violento e ossessivo. “The 8th Sin” sembra essere uscita dagli album “Divine Intervention” o “Diabolus in Musica”, così come le seguenti ed oscure “Deception” e “Black Hole”, che scorrono via però senza particolare entusiasmo, seguendo come dogma strutturale le songs degli Slayer dei nineties. Con le sostenute e ritmate “I Executor” e “Hidden Side”, la testa comincia a ruotare nei più classico headbanging, strappando un sorriso di soddisfazione e un plauso per questi veneti cresciuti a pane e Slayer.

Nota di merito, che emerge su tutto il lavoro, è sicuramente l’approccio professionale dei nostri: suono pulito e molto potente; tecnica esecutiva di caratura internazionale. Il problema, paradossalmente, è il troppo amore che questi padovani hanno per gli Slayer; un amore così grande che praticamente ha soffocato qualsiasi stimolo rivolto alla ricerca di un sound, sì di matrice stilistica ben definita, ma che vada verso una personalizzazione, che spesso e volentieri è il solco che divide tante valide band, da quelle che hanno veramente qualcosa da trasmettere e da dire. Solo le linee vocali del cantante Stefano Segato prendono parzialmente le distanze da quelle di Tom Araya, il resto della line up composta da Mirco Maniero e al già citato Uros Obradovic alle chitarre, Marco Daga al basso e Andrea Segato alla batteria, invece rimangono ancorate agli stilemi della band del mai troppo compianto Jeff Hanneman.

Visto l’approccio professionale, che l’adeguatissima preparazione tecnica, non resta che augurarsi che una band come i Forklift Elevator trovi la giusta dimensione per sviluppare un sound che li faccia conoscere alla scena internazionale come eredi e non come cloni dei fondamentali e immortali Slayer.

Recensione a cura di: Antonio Arcudi.
Voto 55/100

TRACKLIST:
1. Life Denied 01:06
2. Bagger 288 04:07
3. The 8th Sin 03:46
4. Deception 04:30
5. Black Hole 04:16
6. I Executor 05:26
7. Hidden Side 05:00

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