PAUL CHAIN - Violet Art of Improvisation [Reissue] - (Review)
Full Length, Minotauro Records
(1989) - (2015)
“Se vuoi conoscere
il passato, guarda il tuo presente. Se vuoi conoscere il futuro, guarda il tuo
presente.”
Buddha
Altra ristampa della Minotauro Records dal suo catalogo, con
il suo artista più noto: Paul Chain. In questo caso, il CD “Violet Art of
Improvisation” è uscito nel 1989 in doppio vinile in edizione limitata di mille
copie (di cui io possiedo la copia n° 751). “Violet Art of Improvisation” è una
raccolta di materiale inedito, registrato nel periodo che va dal 1981 al 1986,
visto però come una produzione parallela e distante dalla linea produttiva
originale dello stesso Paul Chain.
Inciso parzialmente in live
session e assolutamente improvvisato, il magma sonoro prodotto si avvale del
suddetto Paul Chain alle chitarre, keyboards e voce, di Claud Galley al basso e
di Thomas Hand Chaste dietro le pelli, ed una incursione vocale di Gilas
nell'evocativa e sofferta “Dedicated to
Jesus”.
Non potendo a prescindere ignorare il fatto che esso come lavoro mi
appartiene da ben 26 anni, avendolo acquistato attorno agli anni 90, come i
restanti vinili in mio possesso dello stesso autore, mi è anche impossibile
trattare il materiale in questione con
il distacco, nonostante il passare del
tempo e l'esperienza maturata. Riascoltare ciò che per me è stato un importante
momento della mia crescita a livello musicale fa un certo effetto, un po' come
riaprire la scatole dei giochi di quando eri piccolo, ed associarvi dei
momenti, dei luoghi, delle persone che pensavi ormai dimenticate. Il tempo
passa, a noi non sembra, ma purtroppo è così.
“Violet Art of Improvisation” all'epoca mi sembrò un macigno
di inusitate proporzioni, sicuramente l'album meno digeribile della discografia
del Nostro, proto-canzoni che sfioravano i 20-30 minuti, e che nella mia testa
intrisa di psichedelia floydiana e di metallo estremo, mi risultavano assai
difficili da comprendere appieno. Una sorta di Moloch che mi osservava dai
solchi vinilici e che si faceva capire a fatica, incapace di avere un
linguaggio comprensibile, anche in senso letterale, visto l'uso puramente
fonetico della voce. Ora siamo nel 2016 e lo sto riascoltando, esattamente 26
anni dopo. Non l'ho dimenticato. Ne ho dimenticato che, nonostante la patina
del tempo e le tonnellate di decibel accumulati nel frattempo, resta a
prescindere un lavoro ostico, difficile e di non certo facile lettura. Ma
quanto è tuttora affascinate!
Il primo cd è un trittico di rock oscuro e progressivo,
totalmente asservito al verbo dei primissimi Black Sabbath, ma dilatati,
sventrati del loro approccio rock e imbastarditi brutalmente di una certo umore
psicotico di gente come Iron Butterfly e Witchfinder General. Su tutto grava
poi l'anima tormentata e conflittuale di Paul Chain, che, discostatosi dalla
band madre, sia come ideologia che come approccio musicale, intona litanie
sofferte e reiterate, immergendoci in una pesante cappa di art-rock concettuale
ed oscuro, in cui il confine con la forma canzone si perde in spirali di riffs
che vanno alla deriva nel viola più totale.
Il secondo Cd invece è pura e spaziale sperimentazione ,
perlopiù a base d'organo e keyboards, in cui le influenze si rifanno
direttamente al kraut-rock più ermetico e la musica pop-elettronica di confine,
che ha tra i suoi pionieri il Battiato dei primi lavori,
“Fetus”,“Pollution” e “Clic” in primis.
Suoni di tastiera saturi , layers di suoni in cui la voce è uno strumento al
fine di creare quadri sonori di musica ambiente elettrificata e spaziale, con
un forte richiamo agli anni 70, avvolgente e straniante. Segnalo la traccia di
chiusura, “End by End”, una preghiera come un sussurro, su uno spettrale organo
a mò di elogio funebre alla fine di ogni cosa. Non so se ora ho fatto pace con
questo lavoro.
Tuttora all'ascolto mi sembra di cogliere degli aspetti
nuovi, o forse, è solo un' impressione dettata dal momento presente, dato che
il Moloch è ancora lì, che mi osserva e mi studia, una sfinge criptica in forma
sonica, cui non è così semplice carpirne i segreti. Per molti, ma non per
tutti “Violet Art of Improvisation” è un
capitolo enigmatico ed allo stesso tempo affascinate della carriera di Paul
Chain. Forse, e dico forse, può essere riscoperto a piccole dosi, come un manufatto
di un'epoca remota od uno scritto dimenticato
di una capsula temporale, e che
ci da la prova tangibile che “vi fu un tempo” in cui la musica non era una mera
operazione di marketing, in cui improvvisare e creare erano parole di senso
compiuto e che la libertà espressiva era un punto fermo imprescindibile per un
musicista od artista che si rispetti. Se siete pronti ad affrontare
“l'emarginante viaggio” citando appunto il buon Paul, cogliete l'occasione
senza dubbi o remore. Perdersi, a volte, è il solo modo di ritrovarsi di nuovo.
Recensione a cura di: D666
Voto: 70/100
Tracklist:
01.Tetri Teschi in Luce Viola 31:09
02.Emarginante Viaggio 05:08
03.X-Ray 22:05
Totale: 58:22
01.Old Way 09:08
02.Hypnosis 07:01
03.Casual Two Your Mister 06:47
04. Celtic Rain 06:12
05.Dedicated to Jesus
05:57
06.End by End 06:22
Totale: 40:47
..Ciao, sono Tony Tears, e chiunque mi conosce sa quanto ami Paolo; di "Violet Art ..." posseggo la copia N° 005 , fu regalata direttamente da lui a mio fratello che era in servizio di leva e che lo andò a trovare nei giorni di permeso; (l' album tra l' altro doveva ancora uscire nei negozi.... ) quando mio fratello me lo mise davanti tremai , ebbi subito la sensazione di trovarmi di fronte a qualcosa di speciale; ed ebbi la conferma non appena misi la puntina del giradischi sul solco del primo disco. Sicuramente (per me ..) è l' album più bello e completo di Paul Chain ; poi , un goccino sotto "Life and Death" , ma "Violet art .." fu l' album che mi spinse e convinse di più a credere in Tony Tears ! ..... complimenti bellissima recensione ! .. P.S:ora corro a riascoltarlo ! (Tony Tears)
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