DAWN OF A DARK AGE - The Six Elements, Vol.4 Air
Full-length, Nemeton Records
"Desperate Echoes from The Wood" funge da intro, ed è con la successiva "Argon Van Beethoven (1%)" che l'album si apre, attraverso un fiero retaggio prettamente nordico e con spinte Black Metal quasi Viking, tra nebbie e brume ossianiche ed antiche, brano che però inaspettatamente a metà del pezzo ci catapulta in una fumosa Chicago Anni '20, tra noir jazz e denso fumo di sigari. Sì, perché sono queste le immagini che mi sono balenate in mente durante l'ascolto. Uno dei massimi pregi della band capitanata dall'istrionico Vittorio Sabelli, è di essere terribilmente convincenti nella loro proposta, un caleidoscopio d'umori e stili a volte talmente distanti da sfiorare l'eresia, ma che magicamente si compattano e si bilanciano all'unisono, lasciandoci basiti e straniti, ma piacevolmente soddisfatti, insomma un buon nutrimento per il nostro apparato uditivo. Con "Children Of The Wind" i ritmi si fanno più epici, riffs di fiera scuola nordica si dipanano per quasi 10 minuti, alternando armonie di clarinetto ed archi, che riempiono l'aria di un flavor a volte straniante ed intimo ed a volte tumultuoso e violento. I breaks si fanno sempre più jazzati, mantenendo l'atmosfera di fondo fredda e malinconica. Il linguaggio Black Metal è ormai, evidentemente , un pro-forma; siamo tranquillamente nell' Avant-garde, per quanto questo termine contenitore sia solo un riflesso della loro musica.
Parlando in termini tecnici, il lavoro è ottimamente registrato. I punti deboli delle precedenti uscite, ad esempio la batteria su tutti, è stato corretto con l'inserimento di un vero batterista, che ha riempito di dinamica le strutture sonore dei Dawn Of A Dark Age, rendendoli finalmente una band vera e propria, compatta e godibilissima. Se proprio devo trovare un punto debole, ma qui esprimo solo un mio personale gusto, oserei ancora di più andando persino oltre il verbo metal, e credo che nel prossimo lavoro mi si darà ragione.
(2016)
Si era appena posata la cenere del devastante incendio del terzo elemento, ossia “The Six Elements, Vol. 3 Fire del 2015”, che, come dal nulla, prima come brezza leggera, poi come un possente vento di tramontana, appare “The Six Elements, vol.IV: Air”. E come un vento sferzante, porta via con se il materiale residuo del precedente lavoro, lo amalgama a e lo reimpasta per dare forma ad un album incredibilmente vario ma allo stesso tempo omogeneo e completo.
"Desperate Echoes from The Wood" funge da intro, ed è con la successiva "Argon Van Beethoven (1%)" che l'album si apre, attraverso un fiero retaggio prettamente nordico e con spinte Black Metal quasi Viking, tra nebbie e brume ossianiche ed antiche, brano che però inaspettatamente a metà del pezzo ci catapulta in una fumosa Chicago Anni '20, tra noir jazz e denso fumo di sigari. Sì, perché sono queste le immagini che mi sono balenate in mente durante l'ascolto. Uno dei massimi pregi della band capitanata dall'istrionico Vittorio Sabelli, è di essere terribilmente convincenti nella loro proposta, un caleidoscopio d'umori e stili a volte talmente distanti da sfiorare l'eresia, ma che magicamente si compattano e si bilanciano all'unisono, lasciandoci basiti e straniti, ma piacevolmente soddisfatti, insomma un buon nutrimento per il nostro apparato uditivo. Con "Children Of The Wind" i ritmi si fanno più epici, riffs di fiera scuola nordica si dipanano per quasi 10 minuti, alternando armonie di clarinetto ed archi, che riempiono l'aria di un flavor a volte straniante ed intimo ed a volte tumultuoso e violento. I breaks si fanno sempre più jazzati, mantenendo l'atmosfera di fondo fredda e malinconica. Il linguaggio Black Metal è ormai, evidentemente , un pro-forma; siamo tranquillamente nell' Avant-garde, per quanto questo termine contenitore sia solo un riflesso della loro musica.
Il pezzo "Darkthrone In The Sky" è un tributo simbolico, all'ovvia provenienza del loro sound, e ci ho trovato persino echi Floydiani al suo interno (un certo Atom Heart Mother vi dice niente?). Sta per chiudere il lotto Jukai, una suite idealmente suddivisa in due movimenti: "Discovering The Hunted Forest" ed "Incitement To Suicide". In questa traccia si alternano un black metal molto oscuro a violente sfuriate di clarinetto rendedola la traccia più cattiva dell'album e, a mio modesto parere, la più legata ad uno stile se si può dire canonico di forma- canzone. "Outro N.4 (Adieu Mon Ami)" è uno struggente passaggio di pianoforte e voce sussurrata nel vento che chiude in maniera definitiva il lavoro.
Parlando in termini tecnici, il lavoro è ottimamente registrato. I punti deboli delle precedenti uscite, ad esempio la batteria su tutti, è stato corretto con l'inserimento di un vero batterista, che ha riempito di dinamica le strutture sonore dei Dawn Of A Dark Age, rendendoli finalmente una band vera e propria, compatta e godibilissima. Se proprio devo trovare un punto debole, ma qui esprimo solo un mio personale gusto, oserei ancora di più andando persino oltre il verbo metal, e credo che nel prossimo lavoro mi si darà ragione.
Era tempo che anche in Italia si osasse, e i Dawn Of A Dark Age hanno le “palle quadre” e saranno in grado ancora di stupirci e renderci fieri del loro operato. Tutti i miei complimenti e in bocca al lupo per tutto!
Recensione : D666
Voto: 80/100
Tracklist:
01. Desperate Echoes from The Wood 1:25
02. Argon Van Beethoven (1%) 8:28
03. Children Of The Wind 9:45
04. Darkthrone In The Sky 8:25
05. Jukai 7:10
06. Outro N.4 (Adieu Mon Ami) 1:06
DURATA TOTALE: 36:02
Nessun commento