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FLESHGOD APOCALYPSE - Labyrinth

Full-length, Nuclear Blast Records
(2015)

È con una sorta di timore reverenziale che mi avvicino a questo mostro sacro. Vecchio di soli due anni, datato 2013, “Labyrinth”, concept-album sul Labirinto di Cnosso, è il terzo full-length nonché consacrazione (per ora) di un gruppo che sta mostrando al mondo intero di cosa è capace il Metal italiano, i Fleshgod Apocalypse.
Atmosferico e ansiogeno è l’inizio dell’ascolto, con passi e respiro affannato… che ci trascinano nelle braccia di “Kingborn”, prima canzone che con un’eccezionale potenza di fuoco, una perfetta sinergia di potenza e maestosità, dal furioso blast-beat di Francesco Paoli (batteria) agli epici cori progenie di Francesco Ferrini (pianoforte, tastiere e arrangiamenti), ci mostra, imponente, solo una fetta dello sconfinato potenziale di questi cinque musicisti, che si manifesta in una diversa veste in ognuna delle 11 canzoni di quest’album. I Fleshgod Apocalypse passano con assoluta disinvoltura da parti di una ferocia annichilente a tratti più cadenzati che lasciano la parola al Dio Poseidone o ai lenti, sentitissimi assoli che caratterizzeranno un po’ tutto l’album (accanto, comunque, a fratelli più affilati e rapidi).

Al secondo posto, ecco giungere “Minotaur – Wrath of Poseidon” e dove prima c’era velocità oltre ogni ragionevole limite, furia e ferocia, qui c’è cadenzata potenza, pesantezza granitica, possanza mastodontica. Impossibile non ritrovarsi a gridare “Hail, Hail! Asterion lord of suffering!”, guidati dal rabbioso e caratteristico growl di Tommaso Riccardi (chitarra ritmica e voce), impossibile non ritrovarsi con i brividi durante il sinistro stacco centrale, impossibile non respirare orgoglio marziale con il cadenzato outro, che ci getta spietatamente dritto in pasto a “Elegy”, fulminea rasoiata di ferocia ineguagliabile incentrata, a livello lirico, sul labirinto dentro ognuno di noi da cui “dobbiamo” evadere per raggiungere una vera grandezza e manifestare tutto il potenziale dell’Uomo. Durante la strofa, Ferrini gestisce da solo il lato melodico, mentre il resto del gruppo assurge al rango di mitragliatore umano, con ritmiche ossessive e quasi contorte, marchio di fabbrica dei Nostri; durante il ritornello si intreccia alla voce principale quella di Paolo Rossi (basso e voce pulita), e gli stacchi di archi sono, ancora una volta, da brividi. Unione di potenza, ferocia e pathos…
Fuggiamo ora dal Labirinto: sinistro e maligno è l’intro di “Towards the Sun”, canzone dedicata alla sfortunata impresa di Dedalo e Icaro, e qui davvero si cambia ambiente. Una strofa quasi “arpeggiata”, tra pianoforte e chitarra distorta, con intermezzi in cui i Fleshgod Apocalypse dimostrano di domare perfettamente il loro elemento, esplodendo in bolle di pura atmosfera, in cui la musica è il mezzo e non il fine. Canzone di quasi sei minuti di durata, varia più volte, si evolve come il volo di un uccello, passando dal lento inizio fino a feroci sfuriate di blast-beat…

“Warpledge”, “votato alla guerra”. E non fatichiamo a crederlo… anche qui, pura ferocia, pura energia e potenza, con stacchi di inaudita violenza e atmosfera. Cori, chitarre ferocemente “zanzarose” e l’onnipresente artiglieria pesante di Paoli si intrecciano all’ammaliante voce di Veronica Bordacchini, ospite come cantante lirica su praticamente metà dell’album, in una spietata avanzata marziale. Segue “Pathfinder”, forse tra le migliori del lotto, da cui è stato tratto anche un piacevole videoclip, tutta dedicata all’eroe Teseo che si addentra nelle viscere del Labirinto, tenendo stretto il famigerato filo di Arianna fino a incontrare il Minotauro, Asterione. “The Fall of Asterion” è infatti la canzone successiva, che dopo l’incedere forse un po’ più “atmosferico” (ma comunque marcato) della traccia precedente riporta i ritmi sull’annichilimento più totale dell’ascoltatore, unendo la ferocia sonora a un testo estremamente introspettivo in una canzone che non lascia respiro, e non intende far prigionieri.

Ancora maggiore è pertanto il contrasto che nasce con l’accoppiata “Prologue” ed “Epilogue”: la prima è infatti una breve strumentale di chitarra acustica, che fa da intro alla seconda anche nel suggestivo videoclip. In “Epilogue” a dominare la scena è la voce di Veronica, suadente, che interpreta il personaggio di Arianna nell’infelice tentativo di convincere il vittorioso e disilluso Teseo (ovviamente Tommaso Riccardi) a portarla con sé ad Atene. Qui si rallenta davvero, lasciando spazio a strutture più immediatamente apprezzabili e godibili, e a un meraviglioso assolo di chitarra marchiato Cristiano Trionfera (chitarra solista), forse uno dei più belli dell’album… semplicemente, la nota giusta al momento giusto, con l’intenzione giusta, lasciando da parte virtuosismi e velocità. Ma ora basta smancerie, e la marcia di “Under black sails” è più che eloquente, a riguardo: si riparte alla carica, con blast beat martellante e ottoni squillanti che s’incuneano nel muro sonoro del quintetto, artefice di una potenza disarmante che sfocia, verso metà del pezzo, in un bridge tecnico, malato, prima di evolversi in un altro, più arioso, con archi e chitarre che giocano col pianoforte… 

E una volta che la canzone ha sfoderato anche il suo outro, veloce e tagliente, la voce di Poseidone torna di nuovo a declamare, per poi perdersi nelle onde del mare. Fine dei giochi. Ora potete respirare.
Malinconiche, le prime note di pianoforte annunciano “Labyrinth”, titletrack e chiusura di questo album. Personalmente, non so cosa dire, di quest’ultima canzone, se non che si tratta della giusta corona, della giusta conclusione per un disco fatto di brutalità efferata e ragionata, di crudeltà spietata e epica maestà… e null’altro dirò: ascoltatela, fate un favore a voi stessi…

“Labyrinth”, sebbene “stilisticamente” faccia difetto nella varietà delle strutture forse un po’ ripetitive specialmente negli intro delle canzoni, è un album che a mio personal parere ha un unico difetto: dura troppo poco. 11 canzoni, 54 minuti sono pochi, quando la qualità raggiunge questi livelli sublimi, nonostante l’album paghi il dazio di una produzione che, pur un gran passo avanti rispetto a quella del precedente “Agony” e assolutamente di ottimo livello, si dimostra a stento capace di tenere il passo con la musica, con la contaminazione che raggiunge livelli di assoluta simbiosi tra la totale brutalità dell’anima Brutal-Technical Death Metal e la pomposa magnificenza di quella classica, risultando ancora un po’ confusa e satura.


Recensione a cura di Lorenzo Stelitano
Voto 90/100

Tracklist:

1. Kingborn 06:06 
2. Minotaur (The Wrath of Poseidon) 04:47 
3. Elegy 04:18 
4. Towards the Sun 05:42 
5. Warpledge 04:32 
6. Pathfinder 05:12 
7. The Fall of Asterion 04:39 
8. Prologue 01:07 instrumental
9. Epilogue 05:44 
10. Under Black Sails 07:26 
11. Labyrinth 04:25 instrumental

DURATA TOTALE: 53:58 

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