ANGER AT DUSK - Anger At Dusk
Full-length, Sliptrick Records
(2014)
Prima o poi poteva capitare. Mi riferisco al fatto che una label di qualità come la Sliptrick Records, che finora ha sempre fatto uscire dischi di alto livello, incappasse in un piccolo incidente di percorso, e questo incidente si chiama Anger At Dusk. Band milanese di recente formazione, arriva con il presente album al suo esordio discografico, e formalmente la band suona alla grande, proponendo una sorta di metal-core di ultima generazione con vaghe commistioni con il djent (termine che odio, ma giusto per capirci) e il math-core. Questo si palesa in strutture complesse ed intricate, a volte sincopate, ma comunque mantenendo il fattore groove come filo conduttore del tutto, ma prestando attenzione sempre alla melodia, con vari innesti in clean vocals e dove le articolazioni dei brani si fanno meno rigide e più immediate.
Il problema è però il fatto che, nonostante l'impegno, la preparazione e la rabbia (un po' posticcia a dire il vero), la band non decolla, rimane ingabbiata negli stilemi di un metal core che dopo gli anni Duemila fino ad oggi ha ormai detto tutto, e molte volte ha partorito formazioni del tutto inutili. L'unico fattore davvero positivo di questa formazione è che fortunatamente non si limita a seguire pedissequamente la lezione dei "new metal-corers", ma aggiunge un tocco progressivo e vagamente sperimentale che innalza di un bel po' le quotazioni dell'opera. Parlo ad esempio di un episodio come "Oblivion", che si apre pesantissimo, con chitarre devastanti e che verso il finale accarezza territori vicini al post metal e alla fusion. Anche gli assoli di chitarra attingono molto da quest'ultimo genere, ma purtroppo quando la band ce la mette tutta per dire qualcosa di interessante arriva uno degli elementi più deludenti del disco, ovvero la voce di Stefano Mainin, che quando urla fa il suo dovere e non di più, e quando canta su tonalità pulite risulta un po' stucchevole.
Non voglio stroncare una band come gli Anger At Dusk, che dimostrano preparazione da vendere, e questo è palese, oltre che nell'arco di tutto l'album, nella canzone "Drowning", pezzo schizoide, tecnico, imprevedibile, dove i territori del progressive metal si mescolano alla furia dell'hard core dando vita ad un connubio sulla carta non facile, ma che invece sorprende in positivo. E' bello anche quando la band punta un po' di più verso strutture più snelle, come nella buona "Eaten Up", che sembra quasi un incrocio tra Pantera, Meshuggah e Black Label Society.
Nonostante la tanta carne messa al fuoco in questo disco e l'indubbia qualità dei musicisti coinvolti, questo disco non è riuscito a scuotermi. I motivi sono da ricercare in un approccio al genere come dicevo già iper sfruttato in passato e in una certa sensazione di rabbia più formale che viscerale, come se la band l'avesse inserita più per necessità di genere che per vero bisogno interiore. E non bastano dei suoni praticamente perfetti per colmare delle grosse pecche.
Magari ho preso una cantonata, magari sono io che non amo il genere, ma questo è il mio umile parere sull'ennesimo disco che, riassumendo, appare come "molto fumo e niente arrosto".
Recensione a cura di: Sergio Vinci "Kosmos Reversum"
VOTO: 50/100
Tracklist:
1. Got No Heart
1. Got No Heart
2. Fade
3. Scared And Lonely
4. Oblivion
5. Beyond Serenity
6. Drowning
7. Distant Memories
8. The Harsh Truth
9. Fuck
10. Coward
11. Eaten Up
12. 1987
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