ZERO DOWN - No Limit to the Evil
Full-length, Minotauro Records
(2014)
Tracklist:
1. Return of the Godz 05:18
2. No Limit to the Evil 03:39
3. Devils Thorn 04:14
4. Cold Winters Night 03:30
5. Leche di Tigre 04:28
6. Phantom Host 03:57
7. Suicide Girl 03:34
8. Steve McQueen 04:10
9. Two Ton Hammer 03:12
10. Black Rhino 03:39
DURATA TOTALE: 39:41
http://www.facebook.com/pages/Zero-Down-Fan-Page/262964899318?ref=ts&fref=ts
(2014)
Americani, e più precisamente provenienti da Seattle. Città che negli anni Novanta ha seriamente messo in crisi il panorama hard n’heavy, ma che non ha mai smesso di sfornare metal band di valore, che hanno continuato a guardare dritto per la propria strada, fregandosene dei trend. Evidentemente questi Zero Down raccolgono questa eredità artistica, confezionando un disco, il quarto per la precisione, che si presenta come un puro omaggio all’heavy metal classico, quello di formazioni immortali come Judas Priest, Iron Maiden, Accept, Anvil, passando anche attraverso l’US Power metal di formazioni come Vicious Rumors, Helstar e via dicendo, e un tocco di sana attitudine rock n’ roll. Questi cinque ottimi musicisti ci servono su un bel piatto l’opener “Return Of The Godz”, molto priestiana, con un bel tiro che però mantiene inalterate caratteristiche portanti del genere come grandi aperture melodiche, bei cori anthemici e riffing variegato e solido. Il cantante Mark “Hawk” Hawkinson ha una bellissima voce che rimanda ancora ai Priest (inutile che vi dica il nome del cantante di questa band), ma capace di passare da acuti stile “sirena” a parti più potenti, davvero un’ottima prova la sua, che marchia a fuoco un altro pezzo davvero trascinante come la title track, aperta dal basso pulsante di Ronnie Banner e proseguendo con una vera esplosione di hard/metal verace.
Il lavoro delle due asce non è intricatissimo, ma sarebbe stato un errore a mio avviso se non fosse stato così, in quanto il rischio di appesantire dei brani che funzionano proprio grazie alla loro semplicità sarebbe stato alto, e magari si sarebbe snaturata l’essenza “in your face” della band. Non a caso la band definisce il proprio genere come ”Heavy Metal with Punk Influences”, ma a mio avviso questa definizione potrebbe essere applicata più per l’attitudine diretta e senza fronzoli di questa formazione, piuttosto che di vere influenze punk. Parlerei piuttosto di grandi iniezioni di hard rock “stradaiolo”, ma il tutto suonato sempre con piena competenza e mestiere. Una traccia che mette bene in risalto questo aspetto è la quasi “motorheadiana” “Cold Winters Night", episodio sfrontato e ribelle, che definirei un bel cazzotto in faccia, a cui segue la bluesy e cadenzata "Leche De Tigre" che però non spicca il volo a causa di un ritornello un po' debole e anche perchè il pezzo sembra essere un po' ripetitivo, dove solo il momento dell'assolo migliora il tenore generale, col suo piglio malinconico. Di tutt'altra pasta è "Phantom Host" con ritmica che ricorda la leggendaria "Aces High" dei Maiden, ma in versione più hard rock. Buono il tiro generale come il rallentamento dopo la metà che fa riprendere fiato prima della cavalcata in doppia cassa con assolo di chitarra finale. "Suicide Girl" mostra il lato più punk dei nostri, ma anche chiari riferimenti alla NWOBHM. In chiusura gli Zero Down piazzano un episodio bello tosto e minaccioso a titolo "Black Rhino", che pur non spingendo molto sull'acceleratore risulta essere ficcante ed efficace.
Il lavoro delle due asce non è intricatissimo, ma sarebbe stato un errore a mio avviso se non fosse stato così, in quanto il rischio di appesantire dei brani che funzionano proprio grazie alla loro semplicità sarebbe stato alto, e magari si sarebbe snaturata l’essenza “in your face” della band. Non a caso la band definisce il proprio genere come ”Heavy Metal with Punk Influences”, ma a mio avviso questa definizione potrebbe essere applicata più per l’attitudine diretta e senza fronzoli di questa formazione, piuttosto che di vere influenze punk. Parlerei piuttosto di grandi iniezioni di hard rock “stradaiolo”, ma il tutto suonato sempre con piena competenza e mestiere. Una traccia che mette bene in risalto questo aspetto è la quasi “motorheadiana” “Cold Winters Night", episodio sfrontato e ribelle, che definirei un bel cazzotto in faccia, a cui segue la bluesy e cadenzata "Leche De Tigre" che però non spicca il volo a causa di un ritornello un po' debole e anche perchè il pezzo sembra essere un po' ripetitivo, dove solo il momento dell'assolo migliora il tenore generale, col suo piglio malinconico. Di tutt'altra pasta è "Phantom Host" con ritmica che ricorda la leggendaria "Aces High" dei Maiden, ma in versione più hard rock. Buono il tiro generale come il rallentamento dopo la metà che fa riprendere fiato prima della cavalcata in doppia cassa con assolo di chitarra finale. "Suicide Girl" mostra il lato più punk dei nostri, ma anche chiari riferimenti alla NWOBHM. In chiusura gli Zero Down piazzano un episodio bello tosto e minaccioso a titolo "Black Rhino", che pur non spingendo molto sull'acceleratore risulta essere ficcante ed efficace.
Album di buon livello quindi questo "No Limit To The Evil", suonato e prodotto come si deve, piacevolmente retrò ma con un suo trademark, dato dalla fusione tra metal classico, hard rock, punk e lievi cenni al glam/street. Possibile far convivere tutti questi stili in maniera efficace? Direi di sì, e questo disco lo dimostra con molta disinvoltura, anche se a mio avviso una maggior potenza in generale avrebbe reso ancora più killer il risultato finale. Nota finale: la copertina di Ed Repka è come al solito un valore aggiunto, però mi aveva ingannato e mi aspettavo il solito gruppo thrash metal!
Recensione a cura di: Sergio Vinci "Kosmos Reversum"
VOTO: 70/100Tracklist:
1. Return of the Godz 05:18
2. No Limit to the Evil 03:39
3. Devils Thorn 04:14
4. Cold Winters Night 03:30
5. Leche di Tigre 04:28
6. Phantom Host 03:57
7. Suicide Girl 03:34
8. Steve McQueen 04:10
9. Two Ton Hammer 03:12
10. Black Rhino 03:39
DURATA TOTALE: 39:41
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