Glorior Belli "Gators Rumble, Chaos Unfurls"
Full-length, Agonia Records
Tracklist:
1. Blackpowder Roars 02:58
2. Wolves At My Door 05:01
3. Ain't No Pit Deep Enough 04:35
4. A Hoax, A Croc! 03:51
5. From One Rebel To Another 04:00
6. I Asked For Wine, He Gave Me Blood 04:29
7. The South Will Always Know My Name 03:29
8. Le Blackout Blues 04:03
9. Backwoods Bayou 02:50
10. Built For Discomfort 04:01
11. Gators Rumble, Chaos Unfurls 05:53
(2013)
Recensore: Snarl
Voto: 60/100
J. dei Glorior Belli è e rimane un personaggio coraggioso. L’evoluzione musicale che questa band ha avuto la sapete ormai tutti, voi amanti del Black Metal, e non ve la starò a riproporre ancora. Vi dirò soltanto che “Gators rumble, chaos unfurls” esce di nuovo per la Agonia Records ed è il quinto album, proponente 11 canzoni per circa 45 minuti di musica.
Una musica che trovo originale, ma scarsamente bilanciata tra le varie influenze. Anche negli altri album era così per me, ma qui soprattutto. Dopo l’ascolto di questo album è chiaro che i Glorior Belli non sono più Black Metal, e amano perdersi negli abissi sonori dello Stoner, Sludge, Doom, accenni Blues e melodie orecchiabili Alternative. Però con la voce screaming. E anche con due sparate Black Metal (in “Wolves at my door” e per soli 2 minuti in “I asked for wine, He gave me blood”).
Qual è il problema? Che J. cerca di tenere uniti i pezzi della sua evoluzione musicale, ma qualcosa deve lasciarlo, perché così com’è la ricetta sa di “influenze musicali tenute insieme con la saliva” e la voce screaming ormai cozza incredibilmente con un substrato musicale che si trova molto più a suo agio quando mostra riffs stoner/blues. E le parti black metal suonano molto standard, poco particolareggiate, come se nella mente di J. queste non siano altro che un vecchio patrimonio musicale che in questo disco vengono riproposte in maniera sommaria e approssimativa.
E l’ascolto del disco non è male, ma colpisce molto di più quando sentiamo canzoni tipo “Ain’t no pit deep enough” (palese tributo a “There ain’t no grave deep enough” di George Jones) o tipo “A hoax, a croc!”, consueto episodio southern, o “Le blackout blues”, che ha una certa carica, mentre altrove è la melodia alternative che prevale, come in “From one rebel to another” e la title track, che non mi fa impazzire. Soltanto “Built for discomfort” presenta un groove black metal ben fatto e amalgamato col resto delle influenze, ma dopo 2 minuti il brano cambia (molti brani arrivano a 2 minuti e cambiano genere) e nella parte centrale cala parecchio d’intensità.
Insomma: il nuovo Glorior Belli è un po’ come i vecchi: non è brutto, ma il mix tra Black Metal e southern/stoner/blues proprio non va. Perché non è un mix: è mettere talmente tante di queste influenze su una base sempre meno Black Metal, che alla fine è diventato southern/stoner/blues con qualche elemento black metal a caso che ormai stona soltanto. Questo disco non ha l’atmosfera o la tenebrosità del black metal, ma neanche l’espressività vocale del blues, è southern solo in una canzone, non è lento come si conviene al doom, e di sludge io qui non ne sento: è un pasticcio. Cerca di essere tutto, ma in realtà non è niente di preciso. E non parlatemi di black contaminato: qui musicalmente il black è lasciato indietro, e di tanto. Per rendervi meglio l’idea, farò un esempio: se hai una goccia di caffè, fai un gustosissimo piatto di pasta e ci metti il caffè dentro, non hai fatto una chissà quale magia culinaria: hai solo mescolato due cose diverse, dove la discrepanza di sapori non si nota più che altro perché il 99,9% del piatto è formato da pasta (che nel nostro caso è il southern/stoner/blues).
Nel caso del Glorior Belli, il punto è questo: io personalmente amo il black metal e il blues, e ciononostante la proposta musicale di J. non mi comunica granché. Preferisco, come tanti onestamente, sentire i due generi separati. Tanto chi ama il black metal continuerà a sentire black metal, e chi vuole farsi una cultura blues, penso ascolterebbe tanti artisti, ma non certo i Glorior Belli. O sbaglio?
Il giudizio finale non boccia i Glorior Belli per un motivo: questa è una webzine metal e questo disco non è destinato a un pubblico metal, al limite lo è per un pubblico metal che però è massivamente orientato sullo stoner e che apprezza le sue sperimentazioni, quindi questo disco un pubblico potrebbe anche averlo, ma non è qui. Il posto adatto per far recensire questo disco sono le webzine amanti di stoner, doom e robe simili, e non questa. Posso solo consigliare a J. di tagliare completamente col metal estremo e di sostituire la voce screaming con qualcosa di più assonante, anche se io per me continuo a pensare che, ammesso che un mix tra Southern/blues e Black Metal sia proponibile, siamo ancora lontani dal proporlo in maniera impeccabile.
Una musica che trovo originale, ma scarsamente bilanciata tra le varie influenze. Anche negli altri album era così per me, ma qui soprattutto. Dopo l’ascolto di questo album è chiaro che i Glorior Belli non sono più Black Metal, e amano perdersi negli abissi sonori dello Stoner, Sludge, Doom, accenni Blues e melodie orecchiabili Alternative. Però con la voce screaming. E anche con due sparate Black Metal (in “Wolves at my door” e per soli 2 minuti in “I asked for wine, He gave me blood”).
Qual è il problema? Che J. cerca di tenere uniti i pezzi della sua evoluzione musicale, ma qualcosa deve lasciarlo, perché così com’è la ricetta sa di “influenze musicali tenute insieme con la saliva” e la voce screaming ormai cozza incredibilmente con un substrato musicale che si trova molto più a suo agio quando mostra riffs stoner/blues. E le parti black metal suonano molto standard, poco particolareggiate, come se nella mente di J. queste non siano altro che un vecchio patrimonio musicale che in questo disco vengono riproposte in maniera sommaria e approssimativa.
E l’ascolto del disco non è male, ma colpisce molto di più quando sentiamo canzoni tipo “Ain’t no pit deep enough” (palese tributo a “There ain’t no grave deep enough” di George Jones) o tipo “A hoax, a croc!”, consueto episodio southern, o “Le blackout blues”, che ha una certa carica, mentre altrove è la melodia alternative che prevale, come in “From one rebel to another” e la title track, che non mi fa impazzire. Soltanto “Built for discomfort” presenta un groove black metal ben fatto e amalgamato col resto delle influenze, ma dopo 2 minuti il brano cambia (molti brani arrivano a 2 minuti e cambiano genere) e nella parte centrale cala parecchio d’intensità.
Insomma: il nuovo Glorior Belli è un po’ come i vecchi: non è brutto, ma il mix tra Black Metal e southern/stoner/blues proprio non va. Perché non è un mix: è mettere talmente tante di queste influenze su una base sempre meno Black Metal, che alla fine è diventato southern/stoner/blues con qualche elemento black metal a caso che ormai stona soltanto. Questo disco non ha l’atmosfera o la tenebrosità del black metal, ma neanche l’espressività vocale del blues, è southern solo in una canzone, non è lento come si conviene al doom, e di sludge io qui non ne sento: è un pasticcio. Cerca di essere tutto, ma in realtà non è niente di preciso. E non parlatemi di black contaminato: qui musicalmente il black è lasciato indietro, e di tanto. Per rendervi meglio l’idea, farò un esempio: se hai una goccia di caffè, fai un gustosissimo piatto di pasta e ci metti il caffè dentro, non hai fatto una chissà quale magia culinaria: hai solo mescolato due cose diverse, dove la discrepanza di sapori non si nota più che altro perché il 99,9% del piatto è formato da pasta (che nel nostro caso è il southern/stoner/blues).
Nel caso del Glorior Belli, il punto è questo: io personalmente amo il black metal e il blues, e ciononostante la proposta musicale di J. non mi comunica granché. Preferisco, come tanti onestamente, sentire i due generi separati. Tanto chi ama il black metal continuerà a sentire black metal, e chi vuole farsi una cultura blues, penso ascolterebbe tanti artisti, ma non certo i Glorior Belli. O sbaglio?
Il giudizio finale non boccia i Glorior Belli per un motivo: questa è una webzine metal e questo disco non è destinato a un pubblico metal, al limite lo è per un pubblico metal che però è massivamente orientato sullo stoner e che apprezza le sue sperimentazioni, quindi questo disco un pubblico potrebbe anche averlo, ma non è qui. Il posto adatto per far recensire questo disco sono le webzine amanti di stoner, doom e robe simili, e non questa. Posso solo consigliare a J. di tagliare completamente col metal estremo e di sostituire la voce screaming con qualcosa di più assonante, anche se io per me continuo a pensare che, ammesso che un mix tra Southern/blues e Black Metal sia proponibile, siamo ancora lontani dal proporlo in maniera impeccabile.
Recensore: Snarl
Voto: 60/100
1. Blackpowder Roars 02:58
2. Wolves At My Door 05:01
3. Ain't No Pit Deep Enough 04:35
4. A Hoax, A Croc! 03:51
5. From One Rebel To Another 04:00
6. I Asked For Wine, He Gave Me Blood 04:29
7. The South Will Always Know My Name 03:29
8. Le Blackout Blues 04:03
9. Backwoods Bayou 02:50
10. Built For Discomfort 04:01
11. Gators Rumble, Chaos Unfurls 05:53
DURATA TOTALE: 45:10
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