URGEHAL: il nostro omaggio
In un’epoca dove chiunque si ricorda dei volti famosi solo quando muoiono e anche se non sono più tanto famosi, tra l’altro postando due robe su Facebook al massimo, Metal of death desidera pagare un tributo sincero ad una band e ad un musicista in particolare scomparso di recente per cause a tutt’oggi ignote: Trond Bråthen, in arte Trondr Nefas, funambolico cantante e chitarrista solista dei norvegesi Urgehal. Metal of death desidera inviare le più sentite condoglianze alla famiglia di questo grande uomo di 35 anni di Honefoss. Che riposi in pace.
Correva l’anno 2006 quando per la prima volta sentii nominare questo nome: Urgehal. Su qualche catalogo di cd per la precisione. E poi in seguito in quell’anno lo stesso nome figurava anche negli annunci di un concerto al Nord Italia, a Sondrio, insieme ai Taake e ai già da me conosciuti e apprezzati Koldbrann. Non sarei mai potuto andare a quel concerto per diversi motivi: distanza estrema, il concerto si teneva di domenica 25 marzo 2007 e quindi come minimo sarei tornato a casa per lunedì di tardo pomeriggio, quindi niente concerto. A malincuore.
Però ‘sto nome, Urgehal, proprio non voleva andarsene dalla testa. Mi ricordavo dei Beastcraft, un side project proprio del cantante, e questa band cominciò a farsi sentire nell’underground con un video pubblicato su youtube (quando quel sito non era ancora ben noto) chiamato “Burnt at his altar”. Certo, brano non male, video un po’ così così, con alcune immagini prese dal film “Haxan” alternato a questo duo che nel video suonava non in sincrono con la musica.
Insomma: tagliando corto, sul finire di quell’anno venne il momento in cui trovai il sito myspace degli Urgehal e dove cliccai la playlist delle loro canzoni. Un terremoto! C’erano dalla prima alla quinta canzone del loro ultimo album appena sfornato… un album chiamato “Goatcraft Torment”: una bomba! Una cosa incredibile, un black metal ben registrato, thrasheggiante e cattivo, una vera manna in un periodo dove il deathcore stava esplodendo, il revival del thrash old school doveva ancora avvenire, il doom stoner non raggiungeva ancora l’apice, il gothic era già defunto dopo l’avvento degli Evanescence, e al massimo ci si poteva consolare con i Rammstein e con le reunion. Anche il black metal non stava molto bene: certo gli Tsjuder stavano esplodendo con il loro DVD, ma si erano sciolti anche loro, e i Carpathian Forest deludevano così come altri act più famosi. E mentre il black in italia si dava ai testi in italiano e anche a una visione di stampo pagano e italico, la title track iniziale di “Goatcraft Torment” iniziava con Trondr Nefas che annunciava: “This is Satanic Black Metal!!!” e poi via con il massacro, del quale ho già parlato in sede di recensione di quest’album, che considero veramente storico.
Insomma: tagliando corto, sul finire di quell’anno venne il momento in cui trovai il sito myspace degli Urgehal e dove cliccai la playlist delle loro canzoni. Un terremoto! C’erano dalla prima alla quinta canzone del loro ultimo album appena sfornato… un album chiamato “Goatcraft Torment”: una bomba! Una cosa incredibile, un black metal ben registrato, thrasheggiante e cattivo, una vera manna in un periodo dove il deathcore stava esplodendo, il revival del thrash old school doveva ancora avvenire, il doom stoner non raggiungeva ancora l’apice, il gothic era già defunto dopo l’avvento degli Evanescence, e al massimo ci si poteva consolare con i Rammstein e con le reunion. Anche il black metal non stava molto bene: certo gli Tsjuder stavano esplodendo con il loro DVD, ma si erano sciolti anche loro, e i Carpathian Forest deludevano così come altri act più famosi. E mentre il black in italia si dava ai testi in italiano e anche a una visione di stampo pagano e italico, la title track iniziale di “Goatcraft Torment” iniziava con Trondr Nefas che annunciava: “This is Satanic Black Metal!!!” e poi via con il massacro, del quale ho già parlato in sede di recensione di quest’album, che considero veramente storico.
Ma per gli Urgehal il successo non è affatto stato semplice: ci sono voluti altri 11 anni dal giorno in cui fecero il primo demo al giorno in cui spartivano il palco in tour con bands famose e anche con una label che è la stessa che produce MayheM, gli stessi Tsjuder, Solstafir, Septic Flesh, Rotting Christ, Carpathian Forest e tanti altri. Ripercorriamo dunque la loro storia.
Il debutto discografico degli Urgehal è targato 1997, si chiama “Arma Christi” ed esce per la ben nota No Colours Records, una label piccola ma nota per aver rilasciato diversi debut albums di bands destinate a rimanere nella storia, come il primo album dei Dimmu Borgir, diversi dischi dei Nargaroth e anche bands più dichiaratamente dell’ambiente NS come il primo disco degli Absurd; Nokturnal Mortum e Graveland. Non era una label “comoda”, insomma. Certo, aveva passione, capacità, qualità ed era di culto, in un’epoca dove non esisteva un internet veloce, dove non c’erano ancora social network o youtube, e dove il cd se lo volevi o lo compravi a scatola chiusa, o te lo doppiavi su cassetta, oppure pagavi chi ti masterizzava il cd.
L’ascolto di “Arma christi” denota una band che già da allora mostrava una band capace di scrivere ottimi brani come la diretta e aggressiva “Blood hunt” o la tipicamente norwegian style “The night armageddon comes”. “Arma christi” era un disco che se fosse uscito anni dopo sarebbe stato unanimemente riconosciuto come un gioiellino dell’underground, ma era il 1997 ed è inutile dirlo: i media erano pochi e gli amanti del black molti meno. Al tempo si parlava ancora dei capolavori storici del Black Metal, del ritorno dei Mayhem, dell’allora appena uscito “Enthrone darkness triumphant” di chi sapete voi e poco altro. Gli Urgehal erano dei musicisti di gran valore e classe, ma erano come degli invitati ad una festa dove loro erano dei semplici conoscenti. In altre parole: dei comprimari. Destinati a non avere ancora il successo che sembravano meritare. Certo, lo stile era ancora immaturo, a metà tra il norvegese e le tentazioni thrash che già apparivano, con delle metriche vocali poco incisive, ma la classe c’era eccome.
La stessa sorte toccò al non meno bello e più rifinito “Massive Terrestrial Strike”, uscito nel 1998 e già dotato di ottimi brani destinati a diventare classici, come la bella e molto in stile Sodom “The sodomizer", che mostrava sin da allora un riffing più violento e sinistro, ma nondimeno gustoso e che costituiva la consacrazione della personalità degli Urgehal. Ma anche qui, i pochi mezzi di distribuzione, una label buona ma piccola, e un’attenzione dei media italiani non sufficiente non hanno permesso che il nome degli Urgehal si spargesse granché. Sulle righe comunque anche “Image of the Horned King” e “Supreme Evil”.
L’ascolto di “Arma christi” denota una band che già da allora mostrava una band capace di scrivere ottimi brani come la diretta e aggressiva “Blood hunt” o la tipicamente norwegian style “The night armageddon comes”. “Arma christi” era un disco che se fosse uscito anni dopo sarebbe stato unanimemente riconosciuto come un gioiellino dell’underground, ma era il 1997 ed è inutile dirlo: i media erano pochi e gli amanti del black molti meno. Al tempo si parlava ancora dei capolavori storici del Black Metal, del ritorno dei Mayhem, dell’allora appena uscito “Enthrone darkness triumphant” di chi sapete voi e poco altro. Gli Urgehal erano dei musicisti di gran valore e classe, ma erano come degli invitati ad una festa dove loro erano dei semplici conoscenti. In altre parole: dei comprimari. Destinati a non avere ancora il successo che sembravano meritare. Certo, lo stile era ancora immaturo, a metà tra il norvegese e le tentazioni thrash che già apparivano, con delle metriche vocali poco incisive, ma la classe c’era eccome.
La stessa sorte toccò al non meno bello e più rifinito “Massive Terrestrial Strike”, uscito nel 1998 e già dotato di ottimi brani destinati a diventare classici, come la bella e molto in stile Sodom “The sodomizer", che mostrava sin da allora un riffing più violento e sinistro, ma nondimeno gustoso e che costituiva la consacrazione della personalità degli Urgehal. Ma anche qui, i pochi mezzi di distribuzione, una label buona ma piccola, e un’attenzione dei media italiani non sufficiente non hanno permesso che il nome degli Urgehal si spargesse granché. Sulle righe comunque anche “Image of the Horned King” e “Supreme Evil”.
Il transitorio EP “Atomkinder” uscito per la minuscola Flesh for beast records è targato 2001 e propone 5 brani molto più black che non thrash, con un suono di chitarre più definito, e con una maturazione stilistica che qui si rivela non solo sviluppata del tutto ma anche capace di variare la propria proposta musicale, evitando che il gruppo si ripeta. Sugli scudi le prime due canzoni e una ben riuscita cover dei Kreator, “Ripping Corpse”, più una dei Sepultura, a ricordarci che gli Urgehal hanno le già note origini e tendenze musicali.
Ma per aspettare i primi risultati davvero degni di nota, si deve aspettare il 2003, con quello che potremmo definire il pre-capolavoro degli Urgehal: “Through thick fog till death”. In quest’epoca si assiste ad una vera inversione delle tendenze in campo metal: il nu metal e gli Evanescence dettano legge, e il resto vivacchia. L’old school sembra non esistere, il death esiste solo come Opeth o come death/thrash svedese e comincia solo ora a riprendersi dal torpore che lo ha rallentato negli anni 90, e il black comincia a dare segni di commercializzazione, coi Cradle of filth alla Sony, i Dimmu Borgir che cominciano a commercializzarsi e i Satyricon che di lì a poco faranno uscire “Volcano”. Ma qualcosa si muove in italia: la gente vuole black metal nell’underground e comincia a formarsi un’audience. Forse ancora un po’ piccola, ma ci basta, mentre a scala mondiale il fenomeno “Religious Black Metal” comincia a esplodere, preannunciando una lugubre legione di bands black metal molto più oscure delle solite note, grazie anche al fenomeno internet che ormai cominciava a essere comune. Tra questa orda gli Urgehal non si fanno trovare impreparati e ci consegnano un disco molto sullo stile del successivo “Goatcraft Torment”, meno esplosivo, meno efficace forse, ma non meno furibondo e assassino, dotato di un riffing di chitarra aggressivo e molto black con molte influenze thrash perfettamente amalgamate a rafforzare il tutto, una sempre ben accetta attitudine senza compromessi, e un batterista frenetico, che suona con un istinto thrash preciso e molto professionale, e con dei fills e dei cambi di tempo sempre a tiro. I brani sono una mazzata dietro l’altra senza troppe pause per respirare, forse anche un po’ monodirezionali, ma il disco va bene di vendite e piace, tanto che gli Urgehal il prossimo disco lo incideranno con la Agonia Records, non prima di un EP, “Demonrape” e di un tributo ai Von nel quale figurano perfino i Taake.
Ma per aspettare i primi risultati davvero degni di nota, si deve aspettare il 2003, con quello che potremmo definire il pre-capolavoro degli Urgehal: “Through thick fog till death”. In quest’epoca si assiste ad una vera inversione delle tendenze in campo metal: il nu metal e gli Evanescence dettano legge, e il resto vivacchia. L’old school sembra non esistere, il death esiste solo come Opeth o come death/thrash svedese e comincia solo ora a riprendersi dal torpore che lo ha rallentato negli anni 90, e il black comincia a dare segni di commercializzazione, coi Cradle of filth alla Sony, i Dimmu Borgir che cominciano a commercializzarsi e i Satyricon che di lì a poco faranno uscire “Volcano”. Ma qualcosa si muove in italia: la gente vuole black metal nell’underground e comincia a formarsi un’audience. Forse ancora un po’ piccola, ma ci basta, mentre a scala mondiale il fenomeno “Religious Black Metal” comincia a esplodere, preannunciando una lugubre legione di bands black metal molto più oscure delle solite note, grazie anche al fenomeno internet che ormai cominciava a essere comune. Tra questa orda gli Urgehal non si fanno trovare impreparati e ci consegnano un disco molto sullo stile del successivo “Goatcraft Torment”, meno esplosivo, meno efficace forse, ma non meno furibondo e assassino, dotato di un riffing di chitarra aggressivo e molto black con molte influenze thrash perfettamente amalgamate a rafforzare il tutto, una sempre ben accetta attitudine senza compromessi, e un batterista frenetico, che suona con un istinto thrash preciso e molto professionale, e con dei fills e dei cambi di tempo sempre a tiro. I brani sono una mazzata dietro l’altra senza troppe pause per respirare, forse anche un po’ monodirezionali, ma il disco va bene di vendite e piace, tanto che gli Urgehal il prossimo disco lo incideranno con la Agonia Records, non prima di un EP, “Demonrape” e di un tributo ai Von nel quale figurano perfino i Taake.
Il successo discografico degli Urgehal avviene praticamente in concomitanza dello scoppio di un’altra band collega degli Urgehal: gli Tsjuder. E nel caso del gruppo trattato in questa sede avviene con un disco storico chiamato “Goatcraft Torment”. Oltre alla qualità assolutamente imprescindibile di questo disco occorre notare come, dai e dai, gli Urgehal riescono a imporre la loro musica al mondo, anticipano i tempi del thrash revival insieme agli Tsjuder (che però stanno per sciogliersi) in un’epoca di pieno scoppio deathcore (ragion per cui l’effetto di questo disco si sentirà ovunque solo a scoppio ritardato e in maniera silenziosa) e soprattutto prendendo a sberle in faccia certi filosofi del black metal che sembrano essersi dimenticati della parola “metal” in questo genere, strillando loro in faccia “die for satan” e “this is satanic black metal” nelle loro canzoni. Un bel pugno in faccia al music business, a certo bigottismo pseudo nobile underground e a certa voglia di demenzialità che cominciava ad ammantare i gruppi black norvegesi (chi ha detto Carpathian Forest?) che, non neghiamolo, è andato a segno alla grande. Seguiranno side projects, tour con vari nomi importanti e un bel contratto discografico con la rinomata Season of Mist. Gli Urgehal hanno preso il volo.
Il nuovo disco degli Urgehal, “Ikonoklast”, è anche il disco della consacrazione definitiva, che esce a distanza di tre anni e mezzo dal fortunato predecessore e che mostra gli Urgehal calcare la propria strada alla grande. Un nuovo astro era presente nel cielo norvegese, black/thrash cattivo e forte come un toro. Il cui successo non si fermava nonostante alcuni cambi di line up. Fino alla maledetta morte del povero Trond Bråthen, della quale a tutt’oggi non si conoscono le cause.
Eppure, a dirla tutta, resta dell’amarezza. Per la morte prematura e improvvisa del cantante/chitarrista solista sicuramente, però ci si domanda se qui in Italia si sia capito cosa siano stati gli Urgehal. L’impressione che ho leggendo alcune interviste, di cui una per un magazine black metal
cartaceo, altre per riviste italiane famose e soprattutto per descrizioni su webzine di questo gruppo, è che la risposta sia: “no, non sembra essersi capito molto bene cosa siano stati gli Urgehal”.
Tra affermazioni improbabili (che vuol dire “fanno black metal estremamente misantropico”?), strane stroncature, palesi difficoltà a catalogare il genere per una evidente incompetenza musicale (chi ha detto che “fanno black/death”?) e opinioni sui loro album completamente discordi e contraddittorie, l’impressione è che in tutta franchezza gli Urgehal hanno lasciato una scia che il blackster medio italiano non ha ancora compreso appieno, con questo thrash old school presente nella loro musica, eppure visti come un gruppo “true particolarmente valido” e basta… non solo: ci si chiede se gli Urgehal sarebbero più famosi se anche loro avessero rilasciato un DVD eccezionale come gli Tsjuder fecero. Accusa agli Tsjuder? Per nulla: accusa al pubblico pigro e adatto a sentire i dischi ormai solo su youtube o in mp3, ma non certo acquistati.
Ma chiudendo la polemica dovuta, non possiamo non rendere omaggio noi di Metal of Death ad una band così personale e in gamba, che non ha mai sbagliato un colpo nella sua carriera, e che ha stabilito, insieme agli Tsjuder, ai Krypt e agli Aura Noir dei dischi che sono degli autentici caposaldi di black/thrash old school, e la cui carriera ha subito una brutta perdita proprio all’apice della loro discografia. Come ad alcuni grandi della musica successe in passato. Questo è quello che degli Urgehal ci è rimasto, ed è un grande patrimonio. Un patrimonio musicale fatto di grinta, personalità, attitudine e convinzione. Che insegna a molti “wannabes” come fare un black metal incazzato nero, dove cioè i riffs sono cattivi e furiosi non solo a parole e frasi fatte, e dove la parola “metal” si staglia prepotente e superba, ricordando ai suddetti “wannabes”, ai filosofi e agli amanti della tecnica (e quindi non del black metal secondo loro) cosa vuol dire il secondo termine del genere trattato da questo gruppo storico. Ricordatevelo.
Articolo a cura di: Snarl
Tra affermazioni improbabili (che vuol dire “fanno black metal estremamente misantropico”?), strane stroncature, palesi difficoltà a catalogare il genere per una evidente incompetenza musicale (chi ha detto che “fanno black/death”?) e opinioni sui loro album completamente discordi e contraddittorie, l’impressione è che in tutta franchezza gli Urgehal hanno lasciato una scia che il blackster medio italiano non ha ancora compreso appieno, con questo thrash old school presente nella loro musica, eppure visti come un gruppo “true particolarmente valido” e basta… non solo: ci si chiede se gli Urgehal sarebbero più famosi se anche loro avessero rilasciato un DVD eccezionale come gli Tsjuder fecero. Accusa agli Tsjuder? Per nulla: accusa al pubblico pigro e adatto a sentire i dischi ormai solo su youtube o in mp3, ma non certo acquistati.
Ma chiudendo la polemica dovuta, non possiamo non rendere omaggio noi di Metal of Death ad una band così personale e in gamba, che non ha mai sbagliato un colpo nella sua carriera, e che ha stabilito, insieme agli Tsjuder, ai Krypt e agli Aura Noir dei dischi che sono degli autentici caposaldi di black/thrash old school, e la cui carriera ha subito una brutta perdita proprio all’apice della loro discografia. Come ad alcuni grandi della musica successe in passato. Questo è quello che degli Urgehal ci è rimasto, ed è un grande patrimonio. Un patrimonio musicale fatto di grinta, personalità, attitudine e convinzione. Che insegna a molti “wannabes” come fare un black metal incazzato nero, dove cioè i riffs sono cattivi e furiosi non solo a parole e frasi fatte, e dove la parola “metal” si staglia prepotente e superba, ricordando ai suddetti “wannabes”, ai filosofi e agli amanti della tecnica (e quindi non del black metal secondo loro) cosa vuol dire il secondo termine del genere trattato da questo gruppo storico. Ricordatevelo.
Articolo a cura di: Snarl
Grande gruppo che non ha ancora raccolto a mio parere il successo che si merita. Bell'articolo, complimenti!
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