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Mystical Fullmoon: intervista


Dopo aver recensito in maniera entusistica il loro ultimo album  Scoring a Liminal Phase”, disco tanto complesso quanto affascinante, abbiamo fatto il punto della situazione con Gnosis, bassista e cantante della band milanese.

1. Salve ragazzi, intanto un sentito ringraziamento per aver reso possibile questa intervista. Parto subito con una domanda per rompere il ghiaccio: potreste raccontarci come la vostra ultima fatica discografica ha visto la luce?

Gnosis: Data l’entità del disco, si può capire quanto sia stato impegnativo concepirlo e registrarlo. La fase di composizione ed arrangiamento è durata numerosi anni, anche alla luce dei cambiamenti di line-up intercorsi, che ci hanno spesso portato a rivedere da zero tutto il materiale per adattarlo meglio allo spirito e alle capacità del nuovo organico. Avevamo una visione di come questo disco avrebbe dovuto suonare, e di ciò che avrebbe dovuto rappresentare, ma metterla a fuoco e renderla nel migliore dei modi è stato un processo progressivo e faticoso che ha richiesto un impegno enorme.
Anche la fase della registrazione è stata tutt’altro che sbrigativa, produrre un disco di 74 minuti curando ogni dettaglio con la massima precisione è un lavoro difficile, ci vuole molta pazienza e molta professionalità per portare a termine tutto senza perdere entusiasmo ed energia. Siamo stati fortunati ad avvalerci della supervisione di Alex Azzali, noto fonico e produttore (lo ricordiamo per avere lavorato con Ancient, Mortuary Drape, Cataract, Abgott, nonché con Behemoth, Marduk e Dismember in sede live) che ha svolto un lavoro encomiabile, ha compreso perfettamente la portata della nostra visione fin dalla prima ora di lavoro in studio e si è impegnato al 200% affinché l’album fosse all’altezza delle aspettative. Anche grazie ai suoi contatti è stata possibile la collaborazione con gli archi della Bulgarian National Radio Orchestra.
Si può dire che “Scoring a Liminal Phase” non sia un semplice disco bensì il manifesto di quello che siamo, e soprattutto di quello che possiamo fare. Ogni minimo elemento è stato studiato ad arte, incluso artwork e fotografie, nulla è stato lasciato al caso perché ogni dettaglio era funzionale a raccontare una qualche sfumatura della nostra identità unica.


2. Ho letto in giro per la rete che avete l'abitudine di comporre i testi prima della musica. Perchè questa scelta così controcorrente? La consuetudine impone il contrario.

E’ vero, ormai sono oltre dieci anni che facciamo così. Per noi i testi sono molto importanti, sono portatori di concetti intorno ai quali ruota buona parte del concept della band, per cui sarebbe inaccettabile accoppiarli con la musica in modo casuale. Chiunque è capace di comporre dei riff, metterli in sequenza e cantarci sopra delle parole senza effettivo legame fra questi elementi, non c’è nulla di artistico. Altra cosa è, di contro, partire dall’idea di dover esprimere un concetto particolare, un mood particolare, e indirizzare le proprie energie compositive al raggiungimento di quell’obiettivo. In questo modo si attua una reale tensione comunicativa che coinvolge pariteticamente parole e note, creando una sinergia concettuale indissolubile, dove la musica rappresenta sostanzialmente la colonna sonora delle strofe del testo, frase per frase, concetto per concetto. E’ un modo di comporre più coinvolgente, profondamente visionario, a volte ostico ma sempre significativo.

3. Quali sono i punti cardine della vostra proposta musicale e quali messaggi convogliate attraverso la vostra espressività?

Credo che uno dei punti cardine della nostra proposta sia la poliedricità del nostro stile, che riesce ad incorporare organicamente influenze che vanno dal metal estremo alla musica classica, dall’elettronica al progressive rock andando a toccare persino il jazz, senza però venir meno a quell’atmosfera oscura e maestosa che è tipica del black metal, genere al quale siamo riconducibili in termini di attitudine e di contenuti lirici. Qualcuno parla di avantgarde black metal (forse sarebbe più coerente parlare di progressive black metal), per noi è semplicemente il risultato spontaneo del nostro processo creativo, tutto quello che facciamo nasce in primis per soddisfare la nostra volontà creatrice e di certo non per seguire una moda o per incontrare il favore di un ipotetico pubblico. Non ritengo che ci sia un messaggio che vogliamo comunicare programmaticamente, si tratta casomai di raccontare concetti, visioni e vibrazioni suggerendo delle chiavi interpretative di tipo metafisico.


4. Siete un combo attivo dal 1994, quindi avete vissuto l'evoluzione del black metal nel corso del tempo. Da protagonisti della scena, come giudicate il sentiero intrapreso dal genere e quali sono, secondo voi, i punti deboli del metallo nero?

In effetti abbiamo davvero vissuto una rivoluzione copernicana, mi ricordo che all’inizio le grandi riviste a tiratura nazionale snobbavano il black metal, quasi questo genere non esistesse, i dischi non si trovavano nei negozi e di certo non c’erano grossi tour europei che facessero tappa in Italia, per restare in contatto con l’underground bisognava affidarsi a fanzine fotocopiate in malo modo, e mailorder a cui si ordinavano i dischi alla cieca, a volte senza la certezza che qualcosa ti sarebbe stato effettivamente recapitato. E’ difficile da spiegare a chi ora è abituato a usare internet per ascoltare preview di qualsiasi canzone, guardare video clips ben confezionati, nonché per scaricare illegalmente tutti i dischi che il mercato offra. In passato, i limiti fisiologici di una scena piccolissima creavano un senso di appartenenza, e soprattutto creavano la sensazione di essere in contatto con una forma d’arte misteriosa, portatrice di un’estetica (termine da intendersi in senso filosofico) esoterica e completamente fuori da qualsivoglia standard. Un’evoluzione della scena era inevitabile, nel bene e nel male, dato che nulla è eterno e nulla è immutabile: il clamore mediatico sollevato dai fatti criminosi del cosiddetto Inner Circle, nonché la rivoluzione tecnologica che internet ha portato circa dieci anni fa, sono fattori che hanno stravolto la visibilità della scena black e soprattutto il modo in cui il grosso pubblico la percepisce. Credo che quello che sia cambiato, in negativo, sia una progressiva disaffezione del pubblico, soprattutto quello più giovane. Per farti un esempio, negli anni 1999/2000 ci era capitato di organizzare concerti in giorni infrasettimanali, pubblicizzati solo con il passaparola e con la distribuzione di volantini, e di riuscire a raccogliere oltre 300 paganti che si prendevano il disturbo di recarsi al locale per il semplice piacere di supportare l’underground, perché questo era quello che si faceva, spontaneamente. Negli ultimi tempi, di contro, persino certi headliner stranieri più che affermati fanno fatica a richiamare 300 paganti, seppur con concerti organizzati nel weekend e supportati da un’ottima promozione. Forse il problema è che non c’è più il fascino di prendere parte ad un evento che a suo tempo aveva un sapore d’elite, perché i ragazzini di adesso possono guardare tutti i concerti che vogliono su You Tube, anche i dischi non sono più delle piccole opere d’arte che si comprano attraverso percorsi ignoti ai più ma sono file a bassa risoluzione che si scaricano all’ammasso e si ascoltano distrattamente, si è perso il senso di essere parte di qualcosa di speciale. Di contro, è anche vero che la scena black è ristagnata nella ripetizione stolida degli stessi stereotipi per troppi anni, e il movimento è diventato standardizzato, prevedibile, una parodia degli stimoli che l’avevano fatto emergere. Gruppi storici come MayheM, Immortal e Emperor – per citarne tre a caso – si erano imposti agli onori della critica proprio per la personalità della loro musica e per l’attitudine estrema, rivoluzionaria, che essa portava, stavano creando quasi da zero delle sonorità nuove che nel tempo hanno creato una scuola e hanno ispirato migliaia di persone in tutto il mondo. Non credo che questo tipo di tradizione si possa portare avanti ripetendo ad oltranza ciò che questi gruppi hanno fatto vent’anni fa, perché non è questo lo spirito con cui loro avevano gettato le basi del movimento; e di certo non è un buon modo per stimolare le nuove generazioni di ascoltatori, sempre più annoiati e distratti, che invece dovrebbero essere incuriositi da nuove proposte, nuove sonorità, e da bands dalla forte personalità che emergano dalla massa.


5. Cosa, a vostra opinione, penalizza la diffusione del metal in generale nella penisola italiana?

Un atteggiamento provinciale, un’eccessiva esterofilia, degli standard mediamente lontani da come lavorano i veri professionisti, la mancanza di strutture serie a cui appoggiarsi, e l’assenza di una effettiva coesione culturale a livello nazionale.


6. Tempo fa sul vostro sito, facevate riferimento alla ricostruzione dell'arcano in un mondo post-moderno, Potete spiegarci questa vostra filosofia, indubbiamente meditata ed interessante?

Ogni minimo aspetto delle nostre vite è una costante celebrazione della decadenza post moderna. E’ un dato di fatto, e anche i cliché del nostro genere non sfuggono a questo assunto: si pensi alla classica immagine “true & grim” black metal, dove spade e asce bipenni sono affiancate a cartucciere e chitarre elettriche, è un’estetica terribilmente post moderna, con in più l’ironia di credersi aliena alla modernità. La sfida ideologica insita in un titolo ambizioso come “Scoring a Liminal Phase – Ten strategies for postmodern mysticism” era quella di erigere un monumento oscuro agli stimoli artistici che la post-modernità può regalarci – quindi lavorando molto su concetti come contaminazione e destrutturazione degli standard – accoppiando il tutto a liriche filosofiche ed iniziatiche che presentassero un medesimo approccio sincretico. Tutta la tradizione post-crowleyana, nonché la khaos magick sono fenomeni integralmente post moderni, e non a caso occupano un posto preponderante nella mia visione del mondo. L’arte è magia, ogni opera d’arte è implicitamente l’affermazione di una interpretazione gnoseologica della realtà vista dagli occhi dell’artista, per cui anziché vagheggiare di vichinghi o di vampiri gotici io scelgo di proiettare nelle mie creazioni quelle forze di corruzione e di disgregazione inerenti al Kali Yuga, così da cavalcare la tigre anziché negarla e rifugiarmi in una prigione dorata fatta di stereotipi “old school”.
La cosa affascinante è che questa sorta di concept si è venuto a creare spontaneamente, non c’è stato nulla di predefinito; riflettendo col senno di poi sui contenuti del disco, e su quale potesse essere un degno titolo, tutto è improvvisamente diventato chiaro.

7. Tornando per un attimo al vostro primo full lenght: quali sono i motivi per cui vi avvalete di una drum machine? Nonostante essa sia ottimamente programmata, forse non è capace di restituire la varietà di interpretazione di un batterista in carne ed ossa, quindi la vostra è una scelta dettata dalla necessità oppure si tratta di convinzioni “ideologiche”?

In realtà il disco è stato suonato dal nostro storico batterista Equinoxe (come risulta anche dai credits), subito dopo le registrazioni le nostre strade si sono divise amichevolmente a causa di divergenze musicali, per questo non compare nelle foto promozionali che furono scattate alcuni mesi dopo. Sull’album la batteria è a volte affiancata da sequenze e/o da percussioni (sia elettroniche che acustiche), l’utilizzo esclusivo della drum machine è subentrato in un momento successivo, e sarà “presentato” per la prima volta sulla nostra prossima release. La domanda che ci si deve porre non è “perché abbiamo scelto di usare la drum machine”, quanto “perché non dovemmo farlo”? Non avendo trovato musicisti all’altezza dei requisiti (oggettivamente impegnativi) che richiedevamo, e stanchi di perdere tempo, abbiamo abbracciato volentieri questa nuova fase nell’evoluzione della band. Partendo dal presupposto che suonare è il mezzo e non il fine, quello che ci interessa è creare la nostra musica senza dover scendere a compromessi, e in effetti l’uso di una drum machine ben programmata ci permette di usufruire di un ventaglio di soluzioni ritmiche potenzialmente infinito, qualità che non abbiamo trovato mai in un batterista umano. Nel nostro ambiente trovi quelli velocissimi e precisissimi con i blast beats, che però poi vanno in crisi se gli chiedi una poliritmia su un tempo dispari; ci sono quelli ipertecnici ma senza aggressività, che credono che la band sia il sipario per i loro virtuosismi onanistici perché all’atto pratico non hanno alcuna sensibilità verso l’arrangiamento d’insieme; ci sono quelli che fanno i duri ma poi si cagano sotto quando gli chiedi di suonare un intero concerto con il click in cuffia, cosa che invece è all’ordine del giorno per i veri professionisti. La drum machine fa quello che è funzionale all’arrangiamento, e la sua precisione chirurgica ci è molto utile dal vivo per gestire i nostri brani che sono così lunghi e complessi. Gli strumenti che usiamo sono semplici estensioni della nostra creatività, non siamo per nulla imprigionati nei ruoli canonici di chitarrista vs cantante vs tastierista ecc, ognuno di noi ha mano libera sulla composizione e l’arrangiamento di qualsiasi degli altri strumenti, e il computer si è ormai integrato perfettamente in questo workflow, lo usiamo per registrare, per programmare la drum machine, per costruire un arrangiamento orchestrale… in passato i compositori scrivevano musica per orchestre sinfoniche che includono decine di strumenti diversi, e nessuno si poneva il problema che il compositore non fosse capace di suonare il controfagotto, o la tromba in si bemolle, o la viola da gamba. Mutatis mutandis, noi in prima persona non siamo capaci di suonare la batteria, per cui deleghiamo questo compito ad uno strumento, nella fattispecie un software, che possa farlo credibilmente senza far perdere nulla alla nostra visione. E’ lo stesso principio, cambiano solo i mezzi perché sono cambiate le tecnologie a disposizione del musicista. Per cui, per rispondere in extremis alla tua domanda, si può dire che la nostra sia una scelta ideologica, nella misura in cui ce ne freghiamo dei luoghi comuni e vogliamo dare priorità sempre e comunque alla libertà del nostro processo creativo.


8. Quali sono le vostre principali influenze? Non solo a livello musicale sia chiaro...

Mi rendo conto che siamo arrivati ad un punto in cui non abbiamo influenze principali, ma quello che facciamo è la sintesi naturale delle migliaia di dischi ascoltati, dei centinaia di film guardati o delle centinaia di libri letti… potenzialmente ogni cosa che ci stimola artisticamente finisce per avere un impatto sulla nostra creatività. La cinematografia di David Lynch o di Darren Aaronofsky è sempre fonte di ispirazioni non banali, anche se ormai non tendiamo più a indicarla come un punto di riferimento cruciale. Musicalmente, da ragazzini siamo cresciuti con Emperor, Ulver, Arcturus, Samael, Absu e tanti altri, ora come ora non abbiamo punti di riferimento imprescindibili; ti basti pensare che, fra gli ultimi dischi che ho comprato, accanto a titoli di metal estremo puoi trovare Johnny Cash, Depeche Mode, Jaco Pastorius, Hawkwind e Alice In Chains, mi faccio guidare solo dal mio istinto.


9. Ditemi tre nomi (o più) per cui vale la pena calarsi nella realtà underground italiana.

Mortuary Drape, per la loro costanza e abnegazione, un esempio per tutti; Black Flame, gruppo sulfureo con grande attitudine che sinora non ha mai sbagliato un colpo; Nefas, probabilmente il miglior gruppo death metal italiano.


10. Nel 2000 uscì il vostro album live. E' una strada che intendete ripercorrere nel futuro? Oppure fa parte di un percorso oramai lasciato alle spalle?

Quel live fu più un esperimento che una release ufficiale, il suono era a dir poco caotico e di certo non rendeva giustizia al nostro songwriting. Sicuramente non possiamo escludere di registrare un altro live album prima o poi nel futuro (stavolta però realizzato con la massima cura), ma al momento non è fra le nostre priorità.


11. Una curiosità tecnica: com'è stato collabora con musicisti di estrazione classica?

E’ stata un’esperienza affascinante, e al tempo stesso molto semplice. Sono arrivati in studio di registrazione, si sono seduti dietro agli spartiti, e hanno registrato quello che dovevano, senza perdere tempo e senza imperfezioni di sorta. I musicisti dell’Orchestra della Radio di Stato Bulgara sono professionisti di altissimo livello, non potevano esserci dubbi sulla loro affidabilità.


12. I vostri progetti per il futuro.

Abbiamo quasi ultimato la composizione del nostro prossimo full-lenght, e inizieremo a registrarlo nei prossimi mesi; aspettatevi un lavoro più aggressivo e più tecnico rispetto a “Scoring…”, sempre intriso di quello spirito progressivo ed eclettico che è una parte indissolubile della nostra attitudine.
Al tempo stesso, stiamo preparando un ep contenente vecchio materiale completamente riarrangiato, lo stamperemo in una tiratura di pochissimi pezzi numerati a mano e lo regaleremo alle prime persone che compreranno il prossimo disco. Abbiamo anche intenzione di stampare del nuovo merchandise con nuovi design. Per ora non abbiamo in progetto alcun live.

13. Siamo giunti alla fine. Avete campo libero, per chiudere come meglio reputate.

Ti ringrazio molto per questa interessante intervista, chiunque volesse mettersi in contatto con noi è inviato su www.facebook.com/mysticalfullmoon o www.myspace.com/mysticalfullmoon.
Hail wisdom!

Recensione a cura di: Thanatos

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