Drudkh "Microcosmos"
Full-length, Season of Mist, 2009
Genere: Black Metal
Di solito quando mi accingo a scrivere una recensione e quindi, in sostanza, ad esprimere ANCHE un mio parere, non mi prefiggo di certo strani obiettivi come il mettermi in mostra con modi discutibili, tipo andare contro ad ogni costo rispetto a quelli che sono solitamente i giudizi comuni su una band o un disco. Perché dico questo, e lo dico prima ancora che mi accinga a scrivere una recensione di un disco degli ucraini Drudkh?
Semplicemente perché li seguo dall’inizio, ne ho sempre apprezzato la loro proposta non comune, il loro approcciarsi al macro-genere black metal con personalità e raffinatezza, ma non ho mai capito l’alone di culto e riverenza che certa stampa e fans hanno sempre riservato loro, mettendoli a volte su un livello a mio avviso fuori misura.
Intendiamoci: i Drudkh sono una buona band e, soprattutto ad inizio carriera, hanno sfornato un paio di album decisamente validi ma ora, arrivati oramai all’ottava uscita in studio (calcolando anche l’EP “Anti-Urban”), comincio seriamente a pensare che questa formazione sia stata ed è tutto sommato sopravvalutata. Infatti la band continua a calcare sempre il solito sentiero, non apporta né variazioni né migliorie al proprio sound, ma ho la sensazione che anche stavolta udirò da qualche parte che è uscito l’ennesimo capolavoro dei Drudkh. Ora, se il discorso potrebbe essere valido per chi ha sempre considerato questa band come una fabbrica di altissime opere d’arte, di contro non lo è per me e per quegli ascoltatori (evidentemente rarissimi o inesistenti) che ragionano mitizzando un po’ meno e razionalizzando di più ciò che arriva alle orecchie e al cuore.
Fatta questa lunga ma doverosa premessa possiamo parlare tranquillamente del penultimo, ad oggi, parto dei Drudkh, “Microcosmos”, e anche qui si insediano nella mia mente molti dilemmi. Uno dei principali tra questi è quello di sbirciare da qualsiasi altra recensione dei Drudkh e trasportarla con furbizia qui, ma questo sarebbe disonesto sotto tutti i fronti, ma di certo non poco attendibile, dato che le parole spese soprattutto per gli ultimi parti di casa Drudkh sono le medesime che si potrebbero intercambiare per questo “Microcosmos”. Tradotto in poche parole il succo è: “Microcosmos è l’ennesimo buon disco dei Drudkh, non all’altezza dei primi due album, ma una conferma della loro classe e ispirazione”. Ma anche in questo caso il discorso, personalmente, non mi torna, perché a mio avviso l’ispirazione di questa band è almeno da tre album che latita (e infatti poi ulteriormente confermato nel mediocre successore "Handful Of Stars") e, volendo attirarmi le antipatie di tutti i loro sostenitori, per me il tanto sbandierato masterpiece “Blood in Our Wells”, presentava già dei momenti di stanca non indifferenti.
Certo, come dicevo all’inizio, questo gruppo ha personalità e stile, ma questo non vuol dire che possa bastare per fare di ogni loro uscita un disco da venerare o da tramandare ai posteri. “Microcosmos” scorre via liscio per quasi quaranta minuti, ha tutti gli ingredienti del Drudkh-sound messi al posto giusto e ben dosati, emoziona quel tanto che basta, fa vedere un’altra volta quanto la band voglia rimanere ai margini del music business non rilasciando foto/interviste/concerti/propaganda di alcun tipo (salvo poi firmare per il semi-colosso Season of Mist, ma questo è un altro discorso, o forse no…fate voi), e quindi l’unico messaggio che rimane veramente è che la band ha giocato un’altra volta sul sicuro, arruffianandosi nuovamente la propria fan base e facendo parlare un’altra volta di sé coi soliti toni che vanno dal “più che gradevole” al “disco enorme”.
Le canzoni come in passato si snodano tra atmosfere antiche, sfuriate di rabbia mista a nostalgia e interventi folk che rimandano tanto alle “genuine e incontaminate” terre ucraine. Ascoltato un brano, ascoltati tutti insomma, ma anche questo può essere positivo o negativo, dipende tutto da come percepirete il primo brano. Se vi farà impazzire dall’emozione e vorrete riascoltarlo per riprovare quella stessa emozione potrete, invece che riascoltarlo, andare avanti con la tracklist; tanto ritroverete tutto quello che vi ha colpito nella prima traccia. Il discorso, di contro, cambia se come me avete avvertito già i primi segnali di noia e di già sentito nei primi minuti del disco: più andrete avanti e più vi annoierete.
In definitiva posso dire che questo è un album che vincerà in partenza, dato che oramai credo di conoscere abbastanza bene la mentalità dei sostenitori di questa band, oramai orientata a osannare l’unicità di questo combo e della sua musica, sempre uguale ma sempre fenomenale, almeno a detta loro. In effetti è una storia molto bella e rassicurante ma io continuo a sostenere che, tolti i loro primi due album, questa band non abbia più detto nulla di memorabile. E non ci si azzardi a dire, come mi sta capitando di leggere e sentire, che questo sufficiente compitino chiamato “Microcosmos” ci riporta agli albori di questa band. Non ci crederebbero nemmeno i Drudkh stessi, probabilmente.
Recensione a cura di: Kosmos Reversum
Voto: 60/100
Di solito quando mi accingo a scrivere una recensione e quindi, in sostanza, ad esprimere ANCHE un mio parere, non mi prefiggo di certo strani obiettivi come il mettermi in mostra con modi discutibili, tipo andare contro ad ogni costo rispetto a quelli che sono solitamente i giudizi comuni su una band o un disco. Perché dico questo, e lo dico prima ancora che mi accinga a scrivere una recensione di un disco degli ucraini Drudkh?
Semplicemente perché li seguo dall’inizio, ne ho sempre apprezzato la loro proposta non comune, il loro approcciarsi al macro-genere black metal con personalità e raffinatezza, ma non ho mai capito l’alone di culto e riverenza che certa stampa e fans hanno sempre riservato loro, mettendoli a volte su un livello a mio avviso fuori misura.
Intendiamoci: i Drudkh sono una buona band e, soprattutto ad inizio carriera, hanno sfornato un paio di album decisamente validi ma ora, arrivati oramai all’ottava uscita in studio (calcolando anche l’EP “Anti-Urban”), comincio seriamente a pensare che questa formazione sia stata ed è tutto sommato sopravvalutata. Infatti la band continua a calcare sempre il solito sentiero, non apporta né variazioni né migliorie al proprio sound, ma ho la sensazione che anche stavolta udirò da qualche parte che è uscito l’ennesimo capolavoro dei Drudkh. Ora, se il discorso potrebbe essere valido per chi ha sempre considerato questa band come una fabbrica di altissime opere d’arte, di contro non lo è per me e per quegli ascoltatori (evidentemente rarissimi o inesistenti) che ragionano mitizzando un po’ meno e razionalizzando di più ciò che arriva alle orecchie e al cuore.
Fatta questa lunga ma doverosa premessa possiamo parlare tranquillamente del penultimo, ad oggi, parto dei Drudkh, “Microcosmos”, e anche qui si insediano nella mia mente molti dilemmi. Uno dei principali tra questi è quello di sbirciare da qualsiasi altra recensione dei Drudkh e trasportarla con furbizia qui, ma questo sarebbe disonesto sotto tutti i fronti, ma di certo non poco attendibile, dato che le parole spese soprattutto per gli ultimi parti di casa Drudkh sono le medesime che si potrebbero intercambiare per questo “Microcosmos”. Tradotto in poche parole il succo è: “Microcosmos è l’ennesimo buon disco dei Drudkh, non all’altezza dei primi due album, ma una conferma della loro classe e ispirazione”. Ma anche in questo caso il discorso, personalmente, non mi torna, perché a mio avviso l’ispirazione di questa band è almeno da tre album che latita (e infatti poi ulteriormente confermato nel mediocre successore "Handful Of Stars") e, volendo attirarmi le antipatie di tutti i loro sostenitori, per me il tanto sbandierato masterpiece “Blood in Our Wells”, presentava già dei momenti di stanca non indifferenti.
Certo, come dicevo all’inizio, questo gruppo ha personalità e stile, ma questo non vuol dire che possa bastare per fare di ogni loro uscita un disco da venerare o da tramandare ai posteri. “Microcosmos” scorre via liscio per quasi quaranta minuti, ha tutti gli ingredienti del Drudkh-sound messi al posto giusto e ben dosati, emoziona quel tanto che basta, fa vedere un’altra volta quanto la band voglia rimanere ai margini del music business non rilasciando foto/interviste/concerti/propaganda di alcun tipo (salvo poi firmare per il semi-colosso Season of Mist, ma questo è un altro discorso, o forse no…fate voi), e quindi l’unico messaggio che rimane veramente è che la band ha giocato un’altra volta sul sicuro, arruffianandosi nuovamente la propria fan base e facendo parlare un’altra volta di sé coi soliti toni che vanno dal “più che gradevole” al “disco enorme”.
Le canzoni come in passato si snodano tra atmosfere antiche, sfuriate di rabbia mista a nostalgia e interventi folk che rimandano tanto alle “genuine e incontaminate” terre ucraine. Ascoltato un brano, ascoltati tutti insomma, ma anche questo può essere positivo o negativo, dipende tutto da come percepirete il primo brano. Se vi farà impazzire dall’emozione e vorrete riascoltarlo per riprovare quella stessa emozione potrete, invece che riascoltarlo, andare avanti con la tracklist; tanto ritroverete tutto quello che vi ha colpito nella prima traccia. Il discorso, di contro, cambia se come me avete avvertito già i primi segnali di noia e di già sentito nei primi minuti del disco: più andrete avanti e più vi annoierete.
In definitiva posso dire che questo è un album che vincerà in partenza, dato che oramai credo di conoscere abbastanza bene la mentalità dei sostenitori di questa band, oramai orientata a osannare l’unicità di questo combo e della sua musica, sempre uguale ma sempre fenomenale, almeno a detta loro. In effetti è una storia molto bella e rassicurante ma io continuo a sostenere che, tolti i loro primi due album, questa band non abbia più detto nulla di memorabile. E non ci si azzardi a dire, come mi sta capitando di leggere e sentire, che questo sufficiente compitino chiamato “Microcosmos” ci riporta agli albori di questa band. Non ci crederebbero nemmeno i Drudkh stessi, probabilmente.
Recensione a cura di: Kosmos Reversum
Voto: 60/100
Tracklist:
1 - Минулі Дні (Days That Passed)
2 - Далекий Крик Журавлів (Distant Cries of Cranes)
3 - Декаданс (Decadence)
4 - Ars Poetica
5 - Все, Що Не Сказано Раніше (Everything Unsaid Before)
6 - Вдовина Скорбота (Widow's Grief)
1 - Минулі Дні (Days That Passed)
2 - Далекий Крик Журавлів (Distant Cries of Cranes)
3 - Декаданс (Decadence)
4 - Ars Poetica
5 - Все, Що Не Сказано Раніше (Everything Unsaid Before)
6 - Вдовина Скорбота (Widow's Grief)
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